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lunedì 30 gennaio 2012

Calameo


Calameo propone un servizio online per convertire tutti i formati più utilizzati per i documenti, in vere e proprie riviste da ''sfogliare'', nel vero senso del termine, in modalità fullscreen, utilizzando in output la tecnologia Flash. Calameo fornisce ai publisher notevoli possibilità di personalizzazione del proprio prodotto ed a giochi fatti, la possibilità di pubblicare il prodotto nella galleria pubblica del servizio e/o nelle proprie pagine web attraverso codice embed opportunamente rilasciato. Per disporre di Calameo occorre registrarsi (gratis) al servizio. Da vedere.

Costruire learning object

XeLearning è un potente strumento opensource per costruire, scambiare e modificare LO (oggetti didattici) personalizzati: dal frame degli iDevice, è infatti possibile selezionare dei modelli per costruire (per fare qualche esempio):

testi liberi;
quiz;
cloze;
gallerie di immagini;
quiz a scelta multipla;
letture;
inclusione di flash;
inclusione di video;
letture;
ecc.

venerdì 27 gennaio 2012

Calendario prove INVALSI



Durante l'incontro tra sindacati e MIUR sono state fornite le scadenze legate allo svolgimento delle prova INVALSI. Iniziano le classi II delle superiori.

Il calendario delle prove:

8 maggio 2012:
Classe II SECONDARIA DI SECONDO GRADO: prova di Italiano, di Matematica e questionario studente.

9 maggio 2012:
Classe II PRIMARIA: prova preliminare di lettura (prova scritta a tempo della durata di pochi minuti per testare la capacità di lettura/decodifica raggiunta da ciascun allievo) e prova di Italiano;
Classe V PRIMARIA: prova di Italiano.

10 maggio 2012:
Classe I SECONDARIA DI PRIMO GRADO: prova di Italiano, di Matematica e questionario studente.

11 maggio 2012:
Classe II PRIMARIA: prova di Matematica;
Classe V PRIMARIA: prova di Matematica e questionario studente.

mercoledì 25 gennaio 2012

Filmografia sulla Shoah



Alcune volte ci domandiamo quali siano i film adatti sulla Shoah da proporre ai bambini; quella che segue è una filmografia orientativa.


I titoli segnalati sono di facile reperibilità e, secondo il parere degli operatori che da anni portano nelle scuole la didattica della Shoah, sono strumenti validi. Si ritiene comunque opportuno suggerire a maestre e maestri, professoresse e professori di vedere i film prima di proporli alle classi. Le indicazioni per fasce d’età sono orientative.


LE LETTERE P, M e S, indicano rispettivamente i titoli suggeriti per le scuole primarie, medie e superiori.




ALAN E NAOMI

(Alan and Naomi)


Regia: Sterling Vanwagenen

Interpreti: Lukas Haas, Vanessa Zaoui, Michael Grass, Amy Aquino

Produzione: USA

Anno: 1992

Durata: 100’ (col)

Naomi, bambina ebrea, ha perso il padre durante la guerra in Francia. Da allora è rimasta in stato catatonico. Solo l’aiuto di Alan potrà salvarla. Nella New York del ’44, gli orrori della Shoah visti attraverso lo sguardo di due bambini

M, S




AMEN

(Amen)

Regia: Costantin Costa-Gravas

Interpreti: Ulrich Tukur, Mathieu Kassovitz, Ulrich Muehe

Produzione: Francia

Anno: 2002

Durata: 130’ (col)

Ispirandosi all’opera teatrale di Rolf Hochhuth, "Il Vicario", Costa-Gravas racconta il tentativo di due personaggi "atipici", Kurt Gerstein, ufficiale delle SS, e Ricardo Fontana, giovane gesuita, di interrompere il meccanismo di sterminio degli ebrei d’Europa messo in atto dai nazisti nei campi della morte istituiti in Polonia

S


L'AMICO RITROVATO

(Reunion)

Regia: Jerry Schatzberg

Produzione: Gran Bretagna/Francia/Germania

Interpreti: Jason Robards, Christian Anholt, Sam West, Françoise Fabian.

Anno: 1989

Durata: 110' (col)

Liberamente tratto dall'omonimo libro di Fred Uhlman (pubblicato in Italia dalla casa editrice Feltrinelli). Germania, anni ’30. Due adolescenti, uno figlio di uno stimato medico ebreo, l’altro rampollo di una famiglia aristocratica, gli Hohenfelds, frequentano lo stesso prestigioso ginnasio di Stoccarda. L’appassionata amicizia che nasce tra i due verrà stroncata dalla dilagante piaga dell’antisemitismo nazista.

M, S



ARRIVEDERCI RAGAZZI

(Au revoir les enfants)

Regia: Louis Malle

Interpreti: Gaspard Manesse, Raphael Fejto, Francine Racette, Philippe Morier-Genoud, François Berléand.

Produzione: Francia

Anno: 1987

Durata: 103' (col)

E’ un ricordo di scuola dello stesso Malle. Francia, Collegio del Bambin Gesù di Fontainebleau, gennaio

del ’44. Tra il ragazzo Louis Malle (Gaspard Manesse) e Jean Bonet (Raphael Fejto ), ebreo nascosto sotto falso nome, si stabilisce un delicato rapporto di amicizia che viene, però, stroncato sul nascere dalla deportazione del Padre rettore del Collegio insieme ai piccoli ebrei che aveva nascosto.

L’ arrivederci straziante si rivelerà un irrimediabile addio.

(Leone d'Oro alla Mostra di Venezia)

M, S



ASSISI UNDERGROUND

(Assisi Underground)

Regia: Alexander Ramati

Interpreti: Ben Cross, Maximilian Schell, James Mason, Irene Papas

Produzione: USA/Italia

Anno: 1984

Durata: 116' (col)

Ad Assisi, dal 1943 al 1944, un coraggioso frate francescano (Ben Cross) salvò la vita a numerosi ebrei, nascondendoli in un convento fino all’arrivo degli alleati

M, S



BALLATA PER UN CONDANNATO

(Playing for time)

Regia: Daniel Mann

Produzione: USA

Interpreti: Vanessa Redgrave, Jane Alexander.

Anno: 1980

Durata: 180' (col)

Dalla straordinaria testimonianza di Fania Fanelon, "Surcis pour l’orchestre". Fania (Vanessa Redgrave), ebrea resistente francese, è deportata ad Auschwitz-Birkenau, dove viene inserita nell’orchestra, voluta dal comandante Rudolf Hoess, formata dalle stesse deportate e diretta da Alma Rosé, nipote del compositore Gustav Mahler. La "Kleine Saengerin" (piccola cantante) sarà una delle poche a sopravvivere.

S



LA BARCA E' PIENA

(Das Boot ist voll)

Regia: Markus Imhoof

Produzione: Svizzera

Interpreti: Tina Engel, Hans Diehl, Martin Waltz, Curt Bois.

Anno: 1980

Durata: 100' (col)

Durante l’occupazione nazista dell’Europa, molti ebrei credettero di potersi salvare fuggendo in Svizzera. Ma, anche qui, leggi restrittive ributtarono i più verso il loro tragico destino.

M, S



IL CIELO CADE

Regia: Andrea e Antonio Frazzi

Interpreti: Isabella Rossellini, Lara Campoli, Veronica Niccolai, Jeroen Krabbé, Barbara Enrichi, Gianna Giachetti, Luciano Virgilio.

Produzione: Italia

Anno: 2000

Durata: 101' (col)

Una storia liberamente tratta dalla vicenda vera di Alfred Einstein (cugino del grande fisico) e dei suoi, vittime delle SS in ritirata dopo aver rifiutato di fuggire "per rispetto della propria dignità" nei giorni successivi al 25 luglio 1943.

P , M, S



CONCORRENZA SLEALE

Regia: Ettore Scola

Interpreti: Diego Abatantuono, Sergio Castellitto, Gérard Depardieu.

Produzione: Italia

Anno: 2001

Durata: 118’. (col)

Le leggi antiebraiche italiane e l'indifferenza con cui furono accolte in un film che rievoca l'Italia della fine degli anni '30.

M, S




IL DIARIO DI ANNA FRANK

(The Diary of Anna Frank)

Regia: George Stevens

Interpreti: Millie Perkins, Joseph Schildkraut, Shelly Winters, Richard Beymer, Lou Jacobi, Diane Baker.

Produzione: USA

Anno: 1959

Durata: 156' (b/n)

Tratto dal celebre Diario pubblicato in Italia dalla casa editrice Einaudi, narra la storia di Anna Frank, la ragazzina ebrea che, per sfuggire alle deportazioni, si nascose, purtroppo invano, con la famiglia in una soffitta di alcuni amici ad Amsterdam.

Il film ha vinto 3 Premi Oscar.

M, S



DOTTOR KORCZAK

(Korczak)

Regia: Andrzej Wajda

Interpreti: Wojciech Pszoniak, Ewa Dalkowska, Piotr Kozlowski.

Produzione: Polonia/Germania/Francia

Anno: 1990

Durata: 113' (b/n)

La tragedia di un gruppo di 200 orfani ebrei nel Ghetto di Varsavia, affidati alle cure del Dottor Korczak, fino alla loro deportazione, nell’agosto del 1942, nel campo di sterminio di Treblinka.

S



EUROPA EUROPA

(Europa Europa)

Regia: Agnieszka Holland

Interpreti: Marco Hofschneider, Julie Delpy, Delphine Forest, Hanns Zichler

Produzione: Germania/Francia

Anno: 1991

Durata: 110' (col)

Storia incredibile ma vera di Salomon Perel, ebreo tedesco, adolescente nella Germania nazista. Fuggito a Est, viene sedotto dall’ideologia comunista in un orfanotrofio in cui trova rifugio. Catturato nel corso dell’invasione nazista della Russia , riesce a spacciarsi per "ariano" e, suo malgrado, a diventare un eroe della Wermacht. Inserito addirittura nella Hitlerjugend, spinto dall’istinto di sopravvivenza, continuerà a rinnegare la sua origine e a identificarsi nel modello del perfetto tedesco, finché non sarà costretto a confrontarsi con la verità

S




IL GIARDINO DEI FINZI CONTINI

Regia: Vittorio De Sica

Produzione: Italia

Interpreti: Lino Capolicchio, Dominique Sanda, Helmut Berger, Fabio Testi, Romolo Valli, Raffaele Curi.

Anno: 1970

Durata: 93' (col)

Liberamente tratto dall'omonimo romanzo di Giorgio Bassani (pubblicato dalla casa editrice Einaudi). Attraverso l’amicizia tra Giorgio (Lino Capolicchio), figlio di un commerciante, e Micol (Dominique Sanda), giovane appartenente all’altolocata famiglia dei Finzi-Contini, vengono ripercorse le tragiche vicende della Comunità Ebraica di Ferrara, tra il 1937 e il 1943.

S



GIULIA

(Julia)

Regia: Fred Zinnemann

Interpreti: Jane Fonda, Vanessa Redgrave, Jason Robards, Maximiliam Schell, Meryl Streep, Dora Doll, John Glover.

Produzione: USA

Anno: 1977

Durata: 118' (col)

Due amiche impegnate nella resistenza antinazista nella Vienna degli anni dell'Annessione al Terzo Reich.

Il film ha vinto 3 Premi Oscar.

S



IL GRANDE DITTATORE

(The Great Dictator)

Regia : Charlie Chaplin

Produzione: USA

Interpreti: Charlie Chaplin, Paulette Goddard, Jack Oakie, Reginald Gardiner, Grace Hale.

Anno 1940

Durata 126 ‘ (b/n)

Un grandissimo Charlie Chapiln nel doppio ruolo del dittatore Hynkel (Hitler) e di un barbiere ebreo che lotta contro le persecuzioni antisemite e che, camuffato da nazista, viene scambiato per il primo e in questa veste pronuncia un grande discorso umanitario. Fu quasi l’unico film americano ad attaccare il nazismo prima di Pearl Harbor. Coraggiose le analogie, mai camuffate (Hering/Goering, Napoleone/Mussolini), così come le sequenze realistiche del Ghetto. A Chicago, città che contava una forte comunità tedesca, fu censurato.

P, M, S




IN NOME DEI MIEI

(Au nom de tous les miens)

Regia: Robert Enrico

Produzione: Francia/Canada

Interpreti: Michael York, Brigitte Fossey, Jacques Penot

Anno 1983

Durata: 140’ (col)

Tanneron, Francia Meridionale, 3 ottobre 1970. In un terribile incendio, periscono la moglie e i quattro figli di Martin Gray, ebreo nato a Varsavia nel 1926. L’ "uomo dai mille dolori" ripercorre le tappe della sua incredibile vita. E’ una testimonianza sconvolgente: il Ghetto di Varsavia, il campo di sterminio di Treblinka, l’incredibile fuga e il successivo ritorno in Ghetto per partecipare alla rivolta, l’entrata nelle file dell’Armata Rossa, la partecipazione alla "Battaglia per Berlino", il definitivo passaggio in Occidente.

S



L’ISOLA IN VIA DEGLI UCCELLI

(The Island in Bird Street)

Regia: Soren Kragh-Jacobsen

Produzione: Danimarca, Gran Bretagna, Germania

Interpreti: Jordan Kiziuk, Patrick Bergin, Jack Warden, James Bolam, Simon Gregor.

Anno 1997

Durata: 107’ (col)

1944, nell’ultima retata nel Ghetto di Varsavia, Alex, un ragazzo di 11 anni, riesce a sfuggire ai nazisti. Completamente solo riesce a sopravvivere nel ghetto deserto, finché il padre farà ritorno e, insieme torneranno a sopravvivere.

P, M, S




JAKOB IL BUGIARDO

(Jakob the Liar)

Regia: Peter Kassovitz

Produzione: USA

Interpreti: Robin Williams, Alan Arkin, Mathieu Kassovitz

Anno: 1999

Durata: 114' (col)

Tratto dal romanzo di Jurek Becker , è una fiaba sul tema tragico della ghettizazione degli ebrei dell’Europa orientale ad opera dei nazisti. In un ghetto polacco, Jakob, nell’ufficio della Gestapo, ascolta per caso alla radio la notizia dell’avanzata dell’Armata Rossa. Quando comunica il fatto ai suoi conoscenti, tutti credono che egli abbia una radio nascosta. Nel tentativo di far nascere la speranza nel ghetto egli decide di dare via via delle notizie completamente inventate sull’esito positivo della guerra.

M, S




JONA CHE VISSE NELLA BALENA

Regia: Roberto Faenza

Produzione: Italia

Interpreti: Jean-Hugues Anglade, Juliet Aubrey, Luke Petterson, Jenner Del Vecchio, Francesca De Sapio, Djoko Rosic.

Anno: 1993

Durata: 110 ' (col)

Commovente trasposizione cinematografica del libro Anni d'infanzia di Jona Oberski (edito dalla casa editrice la Giuntina, Firenze). Amsterdam, 1942: Jona, bambino ebreo di quattro anni, dopo aver subito l’umiliante degradazione delle leggi antiebraiche, viene deportato con i genitori al campo di transito di Westerbork e, da lì, a Bergen-Belsen. Sarà il solo a sopravvivere al "ventre della balena".

P, M, S



KAPO'

Regia: Gillo Pontecorvo

Produzione: Francia/Italia

Interpreti: Susan Strasberg, Laurent Terzieff, Emmanuelle Riva, Didi Perego, Gianni Garko.

Anno: 1960

Durata: 116' (b/n)

Durante il periodo della Seconda Guerra Mondiale, Edith, una giovane ebrea francese, viene deportata in un campo di sterminio. Dopo aver assistito all’uccisione dei genitori, decide di sopravvivere diventando la responsabile di una baracca. L’amore per un prigioniero russo le farà ricordare i valori dimenticati nella battaglia quotidiana per la vita.

S



MARTA ED IO

(Martha und Ich)

Regia: Jiri Weiss

Produzione: RFT/Francia

Interpreti: Marianne Saegebrecht, Michel Piccoli

Anno: 1990

Durata: 107' (col)

Rivisitazione autobiografica degli anni tragici delle persecuzioni antisemite. Emil, il ragazzo che narra con voce di adulto la storia, è lo stesso regista adolescente nella cittadina cecoslovacca di Most. Preso in custodia dallo zio Ernst, brillante ginecologo ebreo, assiste al discusso matrimonio di questi con la corpulenta cameriera tedesca Martha, proveniente dai Sudeti. I nazisti, che non vengono mai mostrati se non attraverso le svastiche e le scritte antisemite, occupano, però, la Cecoslovacchia ed Emil, grazie al volere dell’assennata Martha, verrà mandato negli Stati Uniti. Sarà il solo a salvarsi (Weiss, in effetti, emigrò nel 1939 in Inghilterra). Due straordinarie presenze: Michel Piccoli e Marianne Saegebrecht, personalità femminile di sommessa, gigantesca statura.

S



MONSIEUR BATIGNOLE

Produzione: Francia

Anno: 2001

Durata: 100' (colore)

Regia: Gérard Jugnot

Interpreti: Gérard Jugnot, Jean-Paul Rouve, Jules Sitruk, Michèle Garcia, Alexia Portal, Violette Blanckaert, Daphné Baiwir

Produzione Francia

Anno 2001

Durata: (col)

Monsieur Batignole, un macellaio parigino, nella Francia occupata dai tedeschi incontra l¹orrore della deportazione antisemita, e trova la sua personale via verso il riscatto e la dignità.

M, S



MUSIC BOX - PROVA D’ACCUSA

(Music Box)

Regia: Costantin Costa-Gravas

Produzione: USA

Interpreti: Jessica Lange, Armin Mueller-Sthal, Frederic Forrest

Anno: 1989

Durata: 126' (col)

Perfetto caso di mimetizzazione e integrazione di un criminale di guerra ungherese (Armin Mueller-Sthal) nella società americana. La vicenda assume toni drammatici quando è proprio la figlia - avvocato (Jessica Lange)- a scoprire le prove inconfutabili dei crimini del padre.

S


NEGOZIO AL CORSO

(Obchod na korze)

Regia: Jan Kadar/Elmar Klos

Produzione: Cecoslovacchia

Interpreti: Jozef Kroner, Ida Kaminska, Hana Slivkovà

Anno: 1965

Durata: 128' (b/n)

In una cittadina slovacca del 1942, Tono Britko (Josef Kroner), un modesto falegname, viene designato "tutore ariano" del negozio di una vecchia donna ebrea, Rosalie Lautmann (Ida Kaminska). Fra i due si instaura un rapporto paradossale, che avrà una tragica conclusione nel momento della deportazione di tutti gli ebrei della zona. Splendido film, in cui giganteggia la figura dell’indimenticabile Ida Kaminska.

S



OLOCAUSTO

Regia: Marvin Chomsky

Produzione: USA

Interpreti: Meryl Streep, James Woods, Ian Holm, Michael Moriarty

Anno: 1978

Durata: 425' (col)

Famosissima trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo di Gerald Green. E’ la storia della Shoah narrata attraverso le vicende di una famiglia di ebrei berlinesi, i Weiss: le prime persecuzioni in Germania, il trasferimento nei ghetti in Polonia, il massacro ad Auschwitz, l’eroica resistenza ebraica, la fine della guerra, la partenza per il nascente Israele. Nonostante abbia suscitato numerose reazioni negative il film ha, tuttavia, il merito di aver fatto conoscere il tema al grande pubblico: è stato visto da 220 milioni di spettatori, 15 dei quali tedeschi dell’Ovest.

S




OLTRE LA VITTORIA

Regia: Robert M. Young

Produzione: USA

Interpreti: William Dafoe, Wendy Gazelle, Robert Loggia

Anno: 1990

Durata: 116' (col)

Storia vera del giovane pugile ebreo di Salonicco Salamo Arouch, campione baltico dei pesi medi, deportato nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau con tutta la sua famiglia e quella della sua fidanzata. Riuscirà a sopravvivere solo mettendo in gioco innumerevoli volte la vita combattendo sul ring, allestito nel campo per il puro piacere delle SS. Scrupolosa, dal punto di vista storico, la ricostruzione del processo di sterminio di Birkenau.

S




L'ORO DI ROMA

Regia: Carlo Lizzani

Produzione: Italia

Interpreti: Anna Maria Ferrero, Jean Sorel, Gérard Blain, Andrea Checchi, Paola Borboni.

Anno: 1961

Durata: 102' (b/n)

Sono narrate le vicende della Comunità Ebraica di Roma durante il 1943, l’anno più tragico della sua bimillenaria storia: la faticosa raccolta dei 50 kg. d’oro pretesi da Kappler, la vergognosa razzia del ghetto, il 16 ottobre, la deportazione finale.

M, S




IL PIANISTA

Produzione: Francia / Gran Bretagna

Anno: 2002

Durata: 148'' (colore)

Regia: Roman Polanski

Interpreti Adrien Brody, Daniel Caltagirone, Thomas Kretschmann, Frank Finlay, Maureen Lipman

Durata 148'

Nel corso della Seconda guerra mondiale, Wladyslaw Szpilman - un pianista ebreo polacco ­ durante la seconda guerra mondiale, si ritrova nel ghetto di Varsavia, dove si trova a vivere sofferenze e atti di eroismo degli abitanti del ghetto. Qui trova un ufficiale nazista amante della musica che lo aiuta.

M, S



IL PREZZO DELLA VITTORIA


(The Shadow of Victory)

Regia: Ate De Jong

Produzione: NL

Interpreti: Jeroen Krabbe, Edwin De Vries, Linda Van Dyck

Anno: 1986

Durata: 100' (col)

Nell’Olanda occupata dai nazisti, due uomini combattono una differente battaglia contro gli invasori: Peter Vaijk, eroe della resistenza, lotta con la violenza in nome della libertà; Blumberg, fine intellettuale ebreo, è costretto a utilizzare le armi del sotterfugio e della menzogna perché si è prefisso il disperato compito di salvare il maggior numero di correligionari dalla deportazione nei campi di sterminio.

S



LA RAGAZZA TERRIBILE

(Das schreckliche Maedchen)

Regia: Michael Verhoeven

Produzione: RFT

Interpreti: Lena Stolz, Monika Baumgartener

Anno: 1989

Durata: 93' (col)

Tratto da un fatto realmente accaduto in Baviera, il film narra la vicenda di una studentessa di provincia che scopre, attraverso una travagliata indagine, l’ambiguo passato di molti suoi concittadini durante il periodo nazista.

S




SCHINDLER'S LIST

Regia: Steven Spielberg

Produzione: USA

Interpreti: Liam Neeson, Ben Kingsley, Ralph Fiennes, Caroline Goodall.

Anno: 1993

Durata: 195' (b/n e col)

Capolavoro di Spielberg premiato a Hollywood con 7 Oscar nel 1994, tratto dal libro di Thomas Keneally (pubblicato in Italia dalla casa editrice Frassinelli), narra la storia di Oskar Schindler, industriale nazista che, salvando 1100 ebrei dalla morte, divenne un "giusto ".

La ricostruzione del ghetto di Cracovia e della sua selvaggia liquidazione resterà nella storia del cinema come una delle rappresentazione visive più impressionanti e nello stesso tempo più rigorose che siano mai state realizzate sulla Shoah.

S


SWING KIDS - GIOVANI RIBELLI

(Swing Kids)

Regia: Thomas Carter)

Produzione: USA

Interpreti: Robert Sean Leonard, Christian Bale, Frank Whaley, Kenneth Branagh, Barbara Hershey

Anno: 1993

Durata: 114' (col)

Ci si può opporre al nazismo ballando? E’ successo a un gruppo di giovani legati da una forte amicizia e dalla comune passione per il Swing, la musica americana che venne proibita perché degenerata. Il film offre una convincente descrizione della condizione dei giovani, di fronte al tentativo di nazificazione della società tedesca, nella Germania degli anni ’30.

M, S



TORNARE PER RIVIVERE

(Partir revenir)

Regia: Claude Lelouch

Produzione: Francia

Interpreti: Annie Girardot, Jean-Louis Trintignant, Michel Piccoli

Anno: 1985

Durata: 117' (col)

A causa di una lettera anonima, Salomè Zerner, una giovane ebrea francese, viene deportata ad Auschwitz con tutta la famiglia. Sola a essere tornata, corrosa nel corpo e nell’anima, suo unico desiderio è rivivere gli ultimi momenti con i suoi cari e scoprire la verità sulle cause della loro tragica fine.

S



LA TREGUA

Regia: Francesco Rosi

Produzione: Italia/Francia/Svizzera/Germania

Interpreti: John Turturro, Massimo Ghini, Rade Serbedzija, Teco Celio, Roberto Citran, Claudio Bisio, Andy Luotto, Stefano Dionisi, Agnieszka Wagner, Lorenza Indovina.

Anno: 1997

Durata: 123' (col)

Tratto dall'omonimo libro di Primo Levi (pubblicato dalla casa editrice Einaudi)

S




TRAIN DE VIE - Un treno per vivere

Train de vie)

Produzione Romania / Ungheria / Francia

Anno1998

Durata 100'

Regia Radu Mihaileanu

Interpreti Johan Leysen, Michel Muller, Clement Harari, Rufus, Lionel Abelanski

La shoah vista come una favola: mentre i nazisti che rastrellano i villaggi ebraici della Romania, un gruppo di ebrei, guidati dallo scemo del paese, costruiscono un treno, ci appiccicano le svastiche e poi si travestono: chi da aguzzino delle SS chi da prigioniero. Destinazione (falsa) Auschwitz...

P, M, S



L’ULTIMO METRO’

(Le Dernier métro)

Regia: François Truffaut)

Produzione: Francia

Interpreti: Catherine Deneuve, Gérard Depardieu, Heinz Bennet

Anno: 1980

Durata: 130' (col)

Film dedicato ad Andrè Bazin. Parigi, 1942: a causa del coprifuoco, l’ultimo metrò parte alle 20,30, ma il teatro, nonostante la paura, è frequentatissimo. Il proprietario e direttore del Teatro Montmartre (Heinz Bennet) è costretto, in quanto ebreo, a vivere nascosto nella cantina del suo teatro, da dove continua a lavorare e a dirigere all’insaputa degli stessi attori. Per tutti, a dirigere l’impresa è la moglie Marion (Catherine Deneuve), che, in realtà, svolge solo il ruolo di segreta controfigura del marito.

S



L'UOMO DEL BANCO DEI PEGNI

(The Pawnbroker)

Regia: Sidney Lumet

Produzione: USA

Interpreti: Rod Steiger, Geraldine Fitzgerald, Brock Peters

Anno: 1965

Durata: 116' (b/n)

Sol Nazerman (Rod Steiger), un ebreo polacco sopravvissuto allo sterminio nazista, vive in America gestendo un Banco dei Pegni. Ossessionato dal ricordo, vive chiuso in se stesso. Un evento traumatico scuoterà la sua apparente incapacità di soffrire e di amare. il film è ritenuto una delle poche produzioni holliwoodiane che abbiano affrontato il tema della Shoah con rigore, sia tematico che formale.

S


IL VIAGGIO DEI DANNATI

(Voyage of the Damned)

Regia: Stuart Rosemberg

Produzione: Gran Bretagna

Interpreti: Faye Dunaway, Max Von Sydow, Orson Welles, James Mason, Ben Gazzara

Anno: 1976

Durata: 180' (col)

Film sull’indifferenza internazionale di fronte alla disperata situazione di 937 ebrei che ottennero il permesso di lasciare Amburgo nel maggio 1939 e il cui sbarco fu vietato sia da Cuba sia dagli Stati Uniti. La nave, La St-Louis, fu costretta così a far ritorno in Europa, dove il comandante ottenne l’autorizzazione di far sbarcare i passeggeri ad Anversa. Più di 600 di essi avrebbero trovato la morte nei campi di sterminio. Uno staff imponente.

S



LA VITA E' BELLA

Regia: Roberto Benigni

Produzione: Italia

Interpreti: Roberto Benigni, Giorgio Cantarini, Nicoletta Braschi, Giustino Durano, Giuliana Lojodice.

Anno: 1997

Durata: 111' (col)

Osannato e pluripremiato film di Benigni, è il tentativo di rivivere il dramma della deportazione ebraica raccontato con "leggerezza" ed utilizzando un tono evocativo, senza mai cadere nella farsa o nella mancanza di rispetto nei confronto delle vittime.

P, M, S



VITE SOSPESE

(Shining Through)

Regia: David Seltzer

Produzione: USA

Interpreti: Melanie Griffith, Michael Douglas, Liam Neeson

Anno: 1992

Durata: 132' (col)

All’alba della Seconda Guerra Mondiale: un agente segreto e la sua segretaria ebrea scoprono di essere profondamente innamorati. Saranno coinvolti in un ‘avventura avvincente nel cuore della Germania nazista.

M,S

martedì 24 gennaio 2012

LA SHOAH E LA MEMORIA






VITA SCIUPATA

Vita sciupata
Che infamia
Che i giorni scorrano senza alcun senso
Che anziché il riso — io conosca soltanto lacrime

Sono avvilita, sono angosciata
Per aver perduto ogni speranza da così tanto tempo

Come accettare la grettezza umana?
Come pensare alla morte — quando il mondo mi sta chiamando!
Non ho ancora vent’anni
Sono giovane!
Giovane,
GIOVANE!

Vita sciupata, che infamia…

Halina Nelken, Auschwitz, 1944

domenica 22 gennaio 2012

La Shoah 27 gennaio: il Giorno della Memoria. Per sapere, per non dimenticare e per scegliere la giustizia, la tolleranza e la pace.

"Shoah" è un termine ebraico che significa "annientamento", "sterminio".
Esso si riferisce ad una delle più vergognose vicende della storia umana, quando i regimi dittatoriali nazi-fascisti, poco più di sessant'anni fa, stabilirono, attraverso leggi razziali, di far arrestare tutti gli Ebrei e di rinchiuderli nei campi di lavoro forzato e di sterminio, per eliminare del tutto la loro "razza", ritenuta inferiore.
La stessa sorte toccò agli zingari, agli slavi, agli handicappati, ai neri, e a tutti coloro che, secondo i nazisti e i fascisti, non appartenevano alla razza bianca ariana, considerata superiore e pura.

Oggi a noi può sembrare impossibile e incredibile che possano essere successi quei fatti e che donne, uomini e bambini di un intero popolo siano stati perseguitati, torturati e uccisi nei campi di concentramento e nelle camere a gas: ma è tutto tragicamente vero e ogni uomo appena ragionevole si vergogna ancora oggi di quello che successe.
E non dobbiamo pensare che i nazisti e i fascisti fossero tutti dei pazzi: sarebbe troppo facile liquidare lo sterminio accusando uno o due pazzi responsabili. I loro capi erano persone istruite e di normale intelligenza: sapevano quello che avevano deciso di fare. Lo sapeva Hitler e chi stava al suo fianco, lo sapeva Mussolini e il re d'Italia che firmarono le leggi razziali per perseguitare gli Ebrei italiani. Lo sapevano tutti coloro che obbedirono a quelle leggi sbagliate e crudeli.

Il "GIORNO DELLA MEMORIA" che viene celebrato ogni 27 gennaio, nella nazione e nelle scuole, serve proprio a non dimenticare le sofferenze di allora, per saper scegliere di evitare nuove sofferenze oggi, ad altri popoli e ad altre persone, in qualsiasi parte del mondo.

Ma la strada verso la giustizia e la pace è ancora lunga: basta guardare a quante guerre e persecuzioni sono ancora in atto in ogni continente del mondo.Occorre proprio l'impegno di tutti noi.

Disse Primo Levi a proposito di Anna Frank:
"Una singola Anne Frank detta più commozione delle miriadi che soffrirono come lei, la cui immagine è rimasta nell’ombra. Forse è necessario che sia così; se dovessimo e potessimo soffrire le sofferenze di tutti, non potremmo vivere".

I libri pop up


I libri pop-up (così chiamati dall'editore Blue Ribbon Press negli anni Trenta) fecero la loro prima comparsa come strumenti didattici per la spiegazione di teorie e ricerche in campo scientifico, quindi destinati agli adulti.

Se ne rintraccia addirittura testimonianza nei "libri anatomici" del XIV secolo E' solo verso la fine del '700 che si cominciarono a pubblicare i primi libri destinati "a passare il tempo" in modo "dilettevole".

Sicuramente un impulso a questa produzione derivò dalla confezione dei giocattoli ottici. La lanterna magica, gli specchi curvi, le macchine ottiche (strumenti di origine scientifica) riconvertirono la propria destinazione, diventando molto popolari per la loro spettacolarità, così preparando i tempi della stampa dei libri animati per l'infanzia di metà Ottocento.

Quando la Dean & Son, per prima, ne avviò la produzione, pubblicando Dame Wonders Transformation.

Con questa secolare tradizione alle spalle, i libri pop-up sono un fenomeno commerciale di successo recente; va fatto risalire a non molti anni fa il boom di questa produzione.

C'è da sottolineare che la loro progettazione ingegnosa e complessa è appannaggio pressoché esclusivo di paesi quali l'America e l'Inghilterra. Anche se in Italia possiamo contare, da qualche anno a questa parte, su Massimo Missiroli che, già famoso come collezionista, ora si fa apprezzare come paper engineer a livello mondiale. Suoi i pop-up Pinocchio, su disegno di Lucia Salemi, e La mucca Moka e Fred Lingualunga su disegno di AgostinoTraini, pubblicati da Emme Edizioni.



Per chi vuole cimentarsi a costruirli in classe ecco alcuni utili spunti,





In rete

http://www.pop-ups.net/makepopups/makepopups.htm
sito interamente dedicato ai libri pop up, dove si trovano anche istruzioni per realizzare semplici
pop up, con immagini (in inglese)

http://www.popupbooks.com/
altro sito dedicato al mondo dei libri pop up (in inglese)

http://chio2.interfree.it/bacheca/biblioteca/sole/costruirelibro.htm
contiene semplicissime istruzioni per costruire un libro, con immagini

www.italbooks.com/images/media/kyber_computer.pdf
è un pdf scaricabile che illustra le componenti di base di un libro, con alcune utili istruzioni per che
vuole costruirne uno

In rete si trovano anche numerosi siti di scuole che hanno realizzato laboratori di costruzione di
libri; segnalo il seguente, dell’ Istituto comprensivo Bazzano Monteveglio (BO), dove si trovano
immagini di libri pop up realizzati da classi di scuola primaria, con qualche semplice istruzione:
http://www.icbazzano.it/prodotti/elementaremv/popup/popup.html

sabato 21 gennaio 2012

Come la scuola risponde ai bisogni formativi dei nativi digitali?

Piccole grandi idee: Il cinema di animazione a scuola


Documentazione didattica sulla produzione di film di animazione con la tecnica dello stop motion, a cura di Adriana Sartore, referente del progetto multimedialità della Direzione Didattica di Cassola (VI).


Pubblicato da scuoladibase in data 28/ott/2011

Sintesi vocale per i DSA

Intervista a Giacomo Stella professore Straordinario di Psicologia Clinica presso la Facoltà di scienze della Formazione dell’Università di Modena e Reggio Emilia e Direttore scientifico di I.RI.DE. (Istituto di Ricerca Dislessia Evolutiva), nonché Con-Direttore della rivista Dislessia Giornale italiano di ricerca clinica e applicativa.


Altri video del professor Stella nel blog di maestro Roberto 

Risorse free 
I sistemi di sintesi vocale noti anche come sistemi text-to-speech (TTS) offrono la possibilità di convertire i formati di testo in file audio. In questa categoria raccoglieremo i software gratuiti e le web application che consentono di far ciò gratuitamente.

Voki

Voki è un originale servizio che consente, previa registrazione di un account gratuito, di realizzare direttamente online animazioni personalizzate. Le animazioni consistono in figure umane personalizzabili fino nei dettagli. E' addirittura possibile dar loro la nostra voce, avviando una registrazione utilizzando un microfono, oppure selezionare l'audio digitando il testo delle frasi e selezionando la lingua (tra cui l'italiano), il tutto attraverso un'interfaccia realizzata in flash. Voki permette di salvare la nostra animazione generando a scelta diversi codici ''Embed'' tra cui il Codice javascript per l'inserimento del widget prodotto direttamente nelle proprie pagine o nei nostri account MySpace, Xanga, Blogger, ed altri. Ogni realizzazione può essere inoltre salvata pubblicata e condivisa come avatar 50x50 nella galleria del sito. Ben fatto, divertente, gratuito. Da provare.

Audiotweet

Audiotweet è un curioso servizio che permette di trasformare i vostri testi in audio. Una applicazione Text to Speech che permette di 'dare voce' ai vostri scritti in maniera gratuita. E' sufficiente inserire nel campo preposto il vostro testo selezionando la lingua (il servizio ne supporta molte tra cui l'italiano), da un menù a discesa ed infine cliccare un pulsante per generare una url da condividere, presso la quale sarà possibile ascoltare una voce che pronuncerà il testo. Da testare.


Balabolka

Il programma Balabolka converte testi in audio. Il programma legge ad alta voce il contenuto degli appunti, visualizza il testo in formato CHM, DjVu, DOC, EPUB, FB2, HTML, ODT, PDF e RTF, cambia le impostazioni del carattere e colore, controlla l’ortografia, gestisce il processo di lettura dal system tray (l’area dei programmi attivi) o tramite l’uso di combinazioni di tasti, pronuncia il testo digitato, divide il file di testo in alcuni file di dimensioni più piccole, cerca degli omografi. Il Balabolka permette di cancellare dal testo tutti i punti di sillabazione per migliorare la lettura. Balabolka. Puoi salvare testi come file audio in formato WAV, MP3, MP4, OGG e WMA. Balabolka è un programma freeware disponibile anche in italiano per sistemi Windows.


Oddcast

Si tratta di un sintetizzatore vocale capace di riprodurre con ottimi risultati brevi frasi impostate online dall'utente. Oddcast si presenta con un interfaccia grafica rappresentata da una animazione in flash nella quale compare una signorina impegnata a seguire con lo sguardo il puntatore del vostro mouse. Il servizio, liberamente utilizzabile, consente di selezionare la lingua (italiano, inglese, spagnolo, tedesco, fino ad arrivare al cinese, giapponese, coreano), scegliere uno tra alcuni differenti personaggi che riproducono diverse voci, cadenze ed accenti, ed impostare una qualsiasi frase da riprodurre. Un progetto originale, utile per un corretto approccio alla pronuncia. Da visitare.

ReadSpeaker webReader è un prodotto che consente di trasformare gratuitamente il proprio sito o blog in un cosiddetto 'sito parlante' mediante la conversione del testo presente sulle pagine web in audio mp3 di altissima qualità. Il servizio, utilissimo anche per chi ha problemi visivi o di dislessia, è completamente gratuito per i siti e i blog che rispondano alla doppia caratteristica di essere a carattere personale e non a scopo di lucro.






Read The Words

Read The Words è un sintetizzatore vocale online che ti permettere convertire pagine Web, file word e PDF in file formato MP3. Previa registrazione gratuita al servizio è possibile caricare files di testo o digitarne uno e generarne il relativo l'mp3. Read The Words, che supporta le lingue Inglese, Spagnolo e Francese, permette di controllare anche la velocità di lettura. Il sito mette a disposizione di tutti i navigatori un tool demo da utilizzare online solo per la lingua inglese, con l'opzione di scegliere un avatar con voce maschile o femminile.


Robovoice

Robovoice è un sintetizzatore vocale che consente di ascoltare, mediante un apposita voce robotica, tutti i testi i nostro interesse sfruttando l’apposito bookmarklet da 'trascinare' direttamente nella barra dei segnalibri del browser ed attivare per ascoltare la letture dei testi contenute nella pagina web che stiamo navigando semplicemente cliccando sul bookmarklet, selezionando il testo, ed infine cliccando il pulsante 'Listen!'. E' possibile più semplicemente eseguire la medesima operazione direttamente dal sito. Supporto della lingua italiana, necessita di Microsoft Silverlight.


Speech

Si tratta di un vero e proprio sintetizzatore vocale che consente di trasformare i testi in audio. Un semplice campo di testo dove digitare parole di cui verrà fornità la ripetizione vocale in tempo reale. Il servizio, che è più una dimostrazione, rimane fine a se stesso.




Text2speech

Text2speech è un software open source di sintesi vocale. La sintesi vocale (in inglese speech synthesis) è la tecnica per la riproduzione artificiale della voce umana. Text2speech offre la possibilità di trasformare parole di testo in audio parlato.

Text to Voice

Anteprima sito: Text to Voice
Text to Voice è un addons per Firefox in grado di trasformare un testo scritto in voce formato MP3. E' possibile scariare ed installare il plugin direttamente dalle pagine ufficiali di Mozilla.org.


Unirender

Software italiano che permette il riconoscimento vocale delle parole dando la possibilità di abbinare, attraverso un interfaccia grafica, i comandi di qualsiasi videogame a dei numeri compresi da 0 a 9 (ad es. abbinare il comando vocale 1 o 2 al tasto X) permettendo in questo modo di eseguire comandi, che magari hanno una combinazione di tasti non sempre facile da ricordare, in modo immediato attraverso il solo uso della voce e di un buon microfono. E' disponibile FREE sul questo sito.


Vozme

Originale questa web application che offre la possibilità di convertire un formato di testo in un file mp3, che riproduce appunto le parole scritte. Semplicissimo l'utilizzo: basta copiare ed incollare il testo nell'apposito campo (purtroppo il servizio funziona solo con testi in inglese e spagnolo) e premere il bottone ''create mp3''. Vozme, questo il nome del servizio, restituirà il file .mp3 audio pronto per essere ascoltato e salvato. Interessante.


Yakitome

Yakitome si propone come servizio per la conversione di documenti e testi scritti in audio mp3 utilizzando un software proprietario 'text to speech'. Registrazione gratuita, da testare e valutare.

martedì 17 gennaio 2012

PROGETTO "SU SCRITORI" L.R. n. 26/15 ottobre 1997 Provincia del Medio Campidano



Nell'anno scolastico 2010/ 2011 gli alunni della 5^ A del plesso di Via Sicilia di Serramanna hanno partecipato al Progetto "Su scritori".

Il progetto è nato dall’esigenza di portare nelle scuole alcuni scrittori dei cinque paesi dell’Unione dei Comuni Terre del Campidano (Serramanna, San Gavino Monreale, Sardara, Serrenti, Samassi). Il punto di partenza è stato l’individuazione del ruolo che lo scrittore locale assume nella propria comunità di appartenenza, grazie anche alla lingua sarda campidanese con cui si esprime nelle sue opere, specchio di una cultura che non può essere persa o dimenticata.
Grazie all’opera dello scrittore locale, la lingua sarda e i saperi a essa connessi trovano  così un indispensabile veicolo di trasmissione nei confronti delle nuove generazioni.

Nel percorso didattico del progetto, le varianti linguistiche locali sono state affrontate in riferimento all'orizzonte unitario della lingua sarda di cui le stesse varianti sono elemento costitutivo.

Alunni Serramanna







domenica 15 gennaio 2012

Progetto interregionale "ALLA SCOPERTA DI AMBIENTI E ANIMALI DEI PAESI NOSTRI"



Molto bello  il lavoro collaborativo sviluppato nell'ambito del progetto interregionale 

"ALLA SCOPERTA DI AMBIENTI E ANIMALI DEI PAESI NOSTRI"

dagli alunni di maestra Elisa di Villacidro, maestra Patrizia di Treviso, maestra Leila di Mantova, maestra Nicoletta di Grosseto, maestra Wanda di Napoli e maestra Cristina di Roma che portano avanti un percorso condiviso grazie alle ITC che promuove la motivazione al lavoro e all'apprendere.

Il gemellaggio permette alle classi di collaborare e sviluppare progetti condivisi  a distanza grazie alla didattica assistita dalle nuove tecnologie.

Complimenti agli alunni e alle tenaci maestre.

Calendario interregionale 2012

Nuvole di tag

Wordle, generatore di nuvole di tag artistiche

Wordle: linda1

Wordle permette di creare e condividere con chi vogliamo delle Tag Cloud artistiche dal forte impatto visivo.

Crearle è molto semplice. Intanto si caricano le parole che dovranno comporre la nuvoletta manualmente, da un file di testo oppure direttamente dai tag di Del.icio.us.

Fatta questa procedura, passiamo alla fase successiva e impostiamo alcune variabili grafiche per rendere la nuvoletta più vicina alle nostre esigenze “artistiche”.


Quando abbiamo terminato il lavoro di personalizzazione grafica, salviamo il progetto e passiamo alla condivisione direttamente su Wordle oppure alla pubblicazione sul nostro blog o sito web.

Link a Wordle, via feedmyapp

sabato 14 gennaio 2012

Cos'è un weblog?


Nati in USA da poco tempo e subito diventati di moda, i weblogs (termine di origine anglosassone e di ambito informatico, derivato da web+log) sono oggi presenti in numero crescente anche in Italia.
Si tratta di un fenomeno piuttosto interessante, che attualmente occupa le copertine di molte riviste informatiche.
Un weblog è in realtà un sito piuttosto semplice e di facile orientamento, costruito su un'unica pagina che raccoglie notizie (post) inviate dall'autore del blog ed aperte ai commenti dei lettori.
Un weblog tende quindi a configurarsi come una comunità, centrata sull'autore del sito e sui suoi interessi condivisi da un certo numero di visitatori.
La natura del weblog è varia ed esistono già motori di ricerca appositamente pensati per questo universo. Generalmente troviamo weblogs "intimistici" o "diaristici", centrati cioè sulle riflessioni, più o meno private, sui pensieri a voce alta e sugli appunti esistenziali di singoli.
Questo genere di weblog ha un forte interesse sociologico, ma spesso è fine a se stesso e tendenzialmente crepuscolare.
Molto più interessanti i weblogs che fanno "giornalismo" dal basso, dando voce a realtà, anche individuali, di particolare importanza: dal mondo della società civile a quello dell'economia, o dell'informatica, o del libero pensiero, ecc..
Qui ci troviamo davanti ad un network di idee, libero e spontaneo, animato da privati cittadini, che tende a saldarsi verso il basso, capace di offrire terreno fertile di informazione e crescita per una vasta comunità di utenti.
Infine abbiamo i weblogs legati ad associazioni, a movimenti o gruppi associati, che danno conto di realtà quotidiane diffuse ma spesso senza possibilità di espressione sui canali ufficiali di comunicazione.
A questo livello, i weblogs costituiscono sicuramente un fenomeno molto interessante, che merita di crescere ed incontrare il favore dei naviganti di Internet alla ricerca di informazione non manipolata o controllata da stampa e tv.

mercoledì 11 gennaio 2012

Quali sono le competenze cognitive fondamentali per poter abitare il mondo nell’era digitale?

“Ci sono molte evidenze scientifiche che indicano come molti di noi stiano utilizzando la tecnologia 
in modi che ci rendono più intelligenti…”  alcuni autori infatti parlano di iNFOTENTION

Siamo in un momento di transizione, la nostra cultura sta imparando a usare nuovi strumenti e nuove piattaforme di microblogging e socialnetwork Twitter in primis, occorre sviluppare nuove competenze …

«È una nuova civiltà. C’è proprio una divisione generazionale assoluta tra chi è digitale e chi non lo è. In effetti, quelli che io chiamo i “senzatetto digitali” sono molto intelligenti, molto bravi, di solito sono persone benestanti di 40 anni o più, ma hanno un problema: sono giunti su questo pianeta troppo presto.Queste persone imparano dai loro figli» (N.Negroponte ).

Sul web l'informazione lascia la forma testuale, si parla infatti di press divide, a favore dell'immagine e del video, youtube insegna, trasformandosi in infotaiment e subisce un drastico ridimensionamento/durata temporale, ciò spiega il progressivo spostamento della blogosefra (blogging) sull'twittersfera (microblogging IM instant message) sul web ,sui blog, sulla posta elettronica dura solo 24 ore, sui social network qualche ora su strumenti di microblogging come Twitter pochi minuti (Mentelab)

L'informazione evolve in Ip Information diventando sempre più multitasking,multimediale, interattiva,nomadica.
Questa cultura è effettivamente a rischio e la literacy tradizionale può essere in pericolo, l’educazione è profondamente conservatrice, e tende a resistere ai cambiamenti che hanno un impatto altrove …

La Scuola, arcaica struttura ottocentesca che sopravvive galleggiando come un dinosauro preistorico, occorre ” immaginare in modo diverso l’istruzione per il XXI secolo …”, per alcuni ad un Medioevo Digitale
il 2020 sarà la fine della scuola per la generazione 2000+ o nascerà una "TwitterSchool" ?

scritto da Prof. Daniele Pauletto

martedì 10 gennaio 2012

Elezioni RSU 2012

Le votazioni per rinnovare le Rappresentanze Sindacali Unitarie nei settori pubblici e della conoscenza si svolgeranno dal 5 al 7 marzo 2012.


Il 14 dicembre 2011 è stato sottoscritto presso la sede dell'ARAN un "Protocollo per la definizione del calendario delle votazioni per il rinnovo delle rappresentanze unitarie del personale dei comparti pubblici" che integra quello dell'11 aprile 2011.

Le elezioni per il rinnovo delle RSU nei settori pubblici e della conoscenza (scuola, università, ricerca e alta formazione artistica e musicale) si svolgeranno nei giorni dal 5 al 7 marzo 2012.
Il calendario delle procedure elettorali

  • 16 gennaio 2012: termine entro il quale vengono definiti ed individuati tutti i luoghi di lavoro che saranno sede di votazione.

  • 19 gennaio 2012: si annunciano le elezioni e inizia la procedura elettorale.

  • 20 gennaio 2012: le amministrazioni mettono a disposizione l'elenco generale alfabetico degli elettori. Inizia la raccolta delle firme per la presentazione delle liste.

  • 30 gennaio 2012: termine per l'insediamento della commissione elettorale.

  • 3 febbraio 2012: termine per la costituzione formale della commissione elettorale.

  • 8 febbraio 2012: termine per la presentazione delle liste elettorali.

  • 24 febbraio 2012: affissione delle liste elettorali all'albo dell'amministrazione.

  • 5-7 marzo 2012: votazioni.

  • 8 marzo 2012: scrutinio.

  • 8-15 marzo 2012: affissione risultati elettorali all'albo dell'amministrazione.


  • 16-21 marzo 2012: invio, da parte dell'amministrazione, del verbale elettorale finale all'Aran.




Alla scoperta della letteratura sarda

Oggi ho avuto modo di verificare durante il corso FILS che anche in Sardegna è sviluppata una letteratura così come in tutte le altre regioni d'Europa, non credevo esistesse una letteratura "in limba" così ricca.
Così spigolando qua e là ho raccolto un po' di materiale...




Breve storia della letteratura sarda



Fino all’Ottocento la storia delle lettere non si configura come parte di una civiltà complessivamente in movimento, ma piuttosto come un pezzo della storia dei privilegiati. Le lettere e i letterati, fino al XIX secolo, sono marginali rispetto all’unica tragica dialettica che caratterizzò a lungo l’Isola: quella tra povertà diffusa e privilegio sempre più arroccato e esclusivo.

Fino a questo periodo, dunque, non si può assumere la letteratura come paradigma unitario della storia sarda.

Rimane, tuttavia, la necessità di superare l’immagine della Sardegna come isola inaccessibile, che spesso prevale nelle analisi e negli studi che riguardano la regione. Questa immagine tende a ignorare, tra le altre cose, il campo delle attività culturali.

Data la sua posizione decentrata e la sua peculiare storia, segnata dall’incontro con diverse culture, è molto difficile integrare la Sardegna in un discorso di storia letteraria rigorosamente italiana.

D’altra parte è impossibile concepire una storia dei sardi e della loro letteratura al di fuori del contesto europeo, per l’indiscutibile intreccio di atti diplomatici e di governo, di guerre e di accordi di pace, di correnti di idee, di generi letterari e di moduli stilistici che ha legato e lega la Sardegna all’Italia, alla Spagna, al bacino del Mediterraneo, all’intera Europa, a dispetto dei luoghi comuni sull’isolamento.

Le lingue utilizzate
In Sardegna si sono sempre parlate molte lingue.
Prima della romanizzazione:
  • greco
  • cartaginese
  • altre lingue (berbere, mediterranee, di ceppo caucasico)
Dal 234 a.C.:
  • il latino dei romani
  • il sardo
L’utilizzo del sardo è un problema da tenere presente per comprendere la complessità del discorso sulla letteratura in Sardegna. Questa lingua antichissima, infatti, in apparenza così poco funzionale e poco presente nella tradizione scritta è però sostenuta dal fecondo rapporto di scambio che in Sardegna si è realizzato tra oralità e scrittura e dall’abitudine al confronto con lingue maggiormente diffuse ed espressione di culture dominanti.
Le lingue utilizzate
Queste le linque utilizzate nell’isola:
  • Volgare sardo – soprattutto nelle cancellerie giudicali
  • Italiano – dei pisani e dei genovesi
  • Catalano – seguito dal castigliano
  • Italiano e francese – come lingue di cultura
  • Italiano – importato dai piemontesi
  • Latino – lingua scritta
Dal latino comune, ossia dal latino parlato e non da quello letterario, noto come latino volgare, derivano il sardo, l’italiano e le altre lingue neolatine o romanze: il portoghese, il castigliano, il catalano, il francese, il provenzale, il franco-provenzale, il ladino e il rumeno.
Queste lingue si formano in Europa nei regni cosiddetti romano-barbarici nel periodo di tempo compreso tra il 476 d.C., data della caduta dell’Impero Romano d’Occidente, e l’VIII-IX secolo, quando cominciano ad apparire le prime attestazioni scritte dei volgari neolatini.
  • È difficile stabilire il grado di penetrazione della cultura bizantina, la diffusione del greco parlato e l’eventuale presenza e diffusione di un bilinguismo.
  • È certo che in Sardegna si parla il greco, che si ‘sovrappone’ al latino, senza soppiantarlo.
  • I documenti scritti dell’XI secolo sono in sardo, lingua neolatina.
  • Tuttavia il greco, come lingua del potere lascia le sue tracce: una carta, conservata a Marsiglia, è scritta in sardo ma con caratteri greci.
Eventi storici
  • Divisione dell’Impero Romano
  • 456-534: breve dominio dei Vandali
  • 534-815: dominio bizantino - scorrerie saracene la Sardegna è una delle province dell’Impero Bizantino nel quale si parlava il greco.
Intorno alla fine dell'VIII secolo Bisanzio abbandonò progressivamente la Sardegna.
Nel periodo tra il X e l’XI secolo l’isola fu divisa in zone che, nel tempo, divennero autonome rispetto al potere centrale bizantino e si diedero istituzioni amministrative e politiche proprie: nascevano così i quattro Giudicati di Cagliari, Torres, Arborea e Gallura, indipendenti e con una lingua propria.

Caratteristiche dei Giudicati
  • Si presentano come dei piccoli regni indipendenti, fondati su una modesta economia agraria e commerciale, simili a tante altre realtà istituzionali diffuse nell’Europa del tempo.
  • Mostrano un notevole dinamismo sia nelle relazioni interne, sia in quelle esterne.
  • Sono in grado di assicurare una vita civile e ordinata alle popolazioni che crebbero di numero e tesero all’inurbamento, convergendo verso quelle città nelle quali si svolgevano i maggiori traffici.
  • Hanno una lingua propria.
 
A partire dall’XI secolo ha inizio l’interesse di Genova (soprattutto a Cagliari e in Gallura) e di Pisa (nel Logudoro e nell’Arborea) per l’isola.
Anche la Santa Sede si interessa della Sardegna.
Molteplici i contatti e le influenze esterne: famiglie liguri e toscane, viaggiatori, commercianti, ordini religiosi.
I primi documenti in sardo
In ambiente laico le cancellerie giudicali sono le uniche depositarie della scrittura.
Anche le cancellerie, però, si avvalgono dell’operato degli ecclesiastici.
Risalgono all’XI secolo i primi documenti scritti in sardo (o in latino) e redatti in Sardegna. Provengono dalle cancellerie dei Giudicati o dai conventi.

Le caratteristiche dei primi documenti in sardo sono:
  • la precocità e copiosità rispetto alle altre regioni italiane
  • la diffusione generalizzata in tutte le zone dell’isola
  • la complessità e la maturità linguistica e stilistica
  • l’alternanza con il latino (utilizzato in particolare per l’esterno)

Molto singolare l’assenza di un’attività poetica che, molto probabilmente, fu indirizzata in prevalenza verso la trasmissione orale.
Difficile stabilire se, e in che misura, esistesse una consapevolezza della diversità tra il latino e il volgare.
Le legendae e gli officia
Il perdurare di una vitalità della tradizione latina (e della cultura medioevale scritta) in epoca bizantina è testimoniata dalle legendae e dagli officia (vita e tradizione liturgica) dei santi e dei martiri sardi, databili a partire dall’XI secolo. I più importanti tra questi sono:
  • Sant’Efisio
  • San Lussorio
  • Sant’Antioco
  • San Giorgio di Suelli
  • Gavino, Proto e Gianuario, martiri turritani
In Sardegna le prime testimonianze in sardo o in latino risalgono al periodo che va dall’ultimo quarto del secolo XII all’inizio del XII e provengono o dalle cancellerie dei Giudicati o da monasteri e basiliche.
Nella lingua scritta il volgare sardo e il latino continuano ad alternarsi, mentre esistono testimonianze di una produzione agiografica autoctona intorno ai monasteri.

Questo repertorio documentario in lingua sarda è copioso e precoce, rispetto a quello di altre regioni italiane, e generalizzato, ossia non limitato ad una particolare area dell’Isola.
Sono testi su cui spesso i filologi e i paleografi si sono divisi. In realtà sono autentici, ma complessi.

Le grafie sono anacronistiche rispetto alla data della redazione e sono spesso una sintesi originale, ma inconsapevole, di diversi stili di scrittura (carolina, gotica, onciale e semionciale).
La lingua, invece, è prevalentemente sarda, nelle sue diverse varietà dialettali (logudorese, arborense e campidanese).

Il problema che essi pongono è l’accertamento di quale consapevolezza avessero gli scrivani di produrre in una lingua diversa dal latino e quindi di quale conoscenza avessero del latino. La coscienza di tale diversità sta alla base dell’uso consapevole del volgare rispetto al latino.
Agiografia e cronaca
Umberto Cardia ha definito la Sardegna giudicale come "il più complesso sforzo che i sardi abbiano prodotto, nella loro storia millenaria, per organizzarsi secondo il proprio genio, secondo consuetudini e leggi proprie".

Fra gli influssi culturali destinati a incidere sul mondo giudicale, particolarmente significativi sono quelli con Pisa e Genova, le città marinare con le quali, dal 1016, era stato avviato un rapporto destinato a durare nel tempo.
Importanti anche quelli derivanti dalla presenza di ordini religiosi quali i Vittorini (di Marsiglia) o i Camaldolesi, che esercitarono non trascurabili effetti anche sulla circolazione dei libri.
Le poche opere di quel tempo giunte fino a noi, a cominciare da quelle di carattere agiografico, confermano l’impressione che l’ambiente in cui vennero composte condividesse le conoscenze letterarie proprie del tempo.

Una certa capacità di elaborazione narrativa traspare anche in opere di carattere cronachistico, quale il Libellus Judicum Turritanorum.
Si tratta di una breve cronaca del XIII secolo dedicata ai Giudici di Torres che narra degli eventi politici e familiari dei diversi regoli succedutisi sul trono turritano dal 1065 circa al 1259, anno in cui morì Adelasia, moglie di Enzo di Hohenstaufen figlio dell’imperatore Federico II.
Ci è pervenuta attraverso una copia del XVII secolo conservata nell’Archivio di Stato di Torino.
L’autore, anonimo, era probabilmente un monaco. Sebbene risulti evidente il punto di vista filo-papale, la cronaca è preziosa per la ricostruzione delle genealogie medievali sarde, per la comprensione del clima politico del tempo e per la ricostruzione del profilo psicologico di alcune figure rilevanti, come Gonario II de Lacon-Gunale che regnò dal 1124-27 al 1154, quando si ritirò a Clairvaux dove morì e dove ancora è venerato come beato.
È scritto in sardo logudorese, con una patina linguistica castigliana dovuta al lavoro del copista seicentesco. Presenta un’apprezzabile regolarità sintattica.
Eusebio e Lucifero
Pur non avendo scritto versi né prose, i due vescovi sardi Eusebio e Lucifero possono essere collocati alle origini della letteratura sarda.
Vissuti entrambi nel IV secolo dopo Cristo, viaggiarono a lungo, soprattutto nel vicino Oriente. Combatterono l’eresia ariana e patirono l’esilio per questioni religiose. Morirono nello stesso anno, il 371: Lucifero nella sede cagliaritana; Eusebio, a Vercelli, città della quale era vescovo, per mano degli ariani che lo lapidarono.

Si ricorda
Eusebio per le Epistole (d’argomento religioso) composte con passione evangelica.
A lui viene attribuito anche un Trattato sulla Trinità (secondo alcuni composto da san Atanasio) e un Evangelario latino, conservato nella cattedrale di Vercelli.

Lucifero anch’egli autore di Epistole, ha lasciato numerose opere scritte in latino, in difesa dell’ortodossia e in forte polemica con l’imperatore Costanzo.
Di lui disse Francesco Alziator: "La prosa di Lucifero non si fa mai arte, ma vibra di tanta passione, forza ed umanità da rappresentare nella storia letteraria, e non solo, dell’Isola, il più notevole esempio di fede nelle proprie idee".

Lucifero traduce in vantaggio quello che potrebbe essere un non piccolo svantaggio: il suo essere pene barbarus lo pone nella condizione di precorrere i tempi, di antivedere ciò che ancora deve arrivare, di non averne paura. Egli si trova all’origine della tradizione letteraria sarda non solo per ragioni cronologiche ma anche perché si è fatto iniziatore di un modus scrittorio che ha accompagnato gli autori sardi fino all’età contemporanea.

I Condaghi
Sebbene non esista una letteratura medioevale in lingua sarda, se si esclude il Libellus iudicum turritanorum, esiste una copiosa produzione documentaria.
La Sardegna ha sempre mantenuto il senso pragmatico della scrittura, quello orientato alla tutela dei patrimoni. Sembrano semmai i monaci nuovi venuti ad adeguarsi alla lingua di questo sistema di testi scritti che riusciva a disciplinare in modo efficace i rapporti di scambio e di proprietà.
In questo quadro di fortissimo valore pragmatico della scrittura vanno inseriti i Condaghi.
I Condaghi sono registri patrimoniali originariamente (in età bizantina) costituiti da singole schede cucite le une alle altre e arrotolate intorno ad un bastone (chiamato in greco comtacion da cui appunto il termine 'condaghe').
In età medievale, alla struttura a rotolo si sostituisce quella a libro che è giunta fino ai nostri giorni.
Tra i Condaghi giunti fino a noi:
  • Il Condaghe di S. Pietro di Silki
  • I Condaghi di San Nicola di Trullas
  • Il Condaghe di S. Maria di Bonarcado
  • Il Condaghe di S. Michele di Salvennor
  • Il Condaghe di S. Pietro di Sorres
La Sardegna e i trovatori
La Sardegna del periodo giudicale presenta uno scenario politico non dissimile da quello del resto d’Italia. Le famiglie più illustri di Pisa (Donoratico, Visconti) e Genova (Doria) si erano imparentate con le famiglie regnanti sarde, le quali a loro volta, avevano attivato un’intensa politica matrimoniale con altre casate, non solo italiane, ma anche catalane. Tutto questo contribuì a trasformare il panorama geo-politico e linguistico isolano, rendendolo più articolato, non solo limitato alle corti giudicali, ma animato anche da piccole corti signorili.
I trovatori, che percorrevano la penisola italiana andando di corte in corte, registrarono la novità.
Peire de la Cavarana indirizza il sirventese D’un sirventes faire a un sardo designato con il senhal Malgrat de toz, identificabile con il giudice Barisone d’Arborea (1131-1184) che venne incoronato re di Sardegna a Pavia da Federico I Barbarossa il 10 agosto 1164 dietro compenso di quattromila marchi d’argento anticipati da Genova.
Peire Vidal dedica il sirventese Pos ubert ai mon ric tezaur a un Marques de Sardenha/ Q’ab joi viu ab sen regna (al Marchese di Sardegna/ che vive con gioia e con senno regna) che non può che essere Guglielmo I Salusio IV, giudice di Cagliari e Marchese di Massa (m.1214) del quale un altro trovatore Elias Cairel dice, con intenti tutt’altro che laudativi, que sa valors sembla febre (che il suo valore sembra febbre).
Albertet de Sisteron, verso il 1221, annovera Adelasia di Torres, figlia di Agnese di Massa, nipote del marchese Guglielmo, moglie prima di Ubaldo Visconti e poi di Enzo di Hoensthaufen, tra le donne più celebri e belle citate in En amor trob tanz de mal seignoratges.
Da notare che i trovatori non scrivevano per se stessi, ma affidavano i testi ai giullari perché li divulgassero.
Il sirventese era il genere proprio della propaganda politica, per cui vien difficile pensare che il pubblico signorile sardo non apprezzasse la tradizione trobadorica, né che il pubblico italiano non si sentisse coinvolto nelle vicende isolane.
Sotto il profilo linguistico è questo il periodo in cui l’italiano penetra in profondità in alcune zone dell’Isola. Una buona esemplificazione di quale italiano venisse parlato alla corte dei Doria ci è data da una lettera di Brancaleone Doria ai nobili siciliani in rivolta contro i catalano-aragonesi.
I trovatori ebbero dunque rapporti con le piccole corti sarde e con i loro signori, così come li ebbero con altre corti signorili d’Italia.
Di tutto questo sistema di rapporti e di relazioni non resta nulla a livello dei testi scritti della cosiddetta cultura alta.
La poesia popolare
La poesia popolare isolana del periodo si caratterizza per il numero, per la straordinaria complessità dei generi e per la terminologia tecnica che ne designa le forme e i metri.
Dietro questo patrimonio si nota l’impronta della tradizione provenzale e una discendenza dalla letteratura trobadorica.
Infine va rilevato che, unitamente a quanto attesterebbero le forme e i nomi della poesia popolare sarda, una fonte quattro-cinquecentesca, la Memoria de las cosas que han acontecido en algunas partes del Reyno de Cerdeña, recentemente rivisitata, attesta inequivocabilmente che nell’Isola è esistita una tradizione, se si vuole para-letteraria, che aveva come argomento le origini delle casate giudicali, le fondazioni di chiese e di città nonché alcuni episodi della storia medievale isolana. Verità e mito si fondono in questo testo né più né meno di come si amalgamano in analoghi testi europei.
. NOTA .
La pressoché totale indisponibilità di testi ci impedisce di apprezzare come e se le diverse lingue utilizzate in Sardegna (sardo, latino, italiano, catalano) siano state utilizzate nella pratica letteraria.
Questa assenza si spiega in parte con la triste regola che ogni vincitore impone ai vinti: la perdita dei beni e della memoria, che comporta la marginalizzazione e la folklorizzazione di tutto ciò che prima era ufficiale.
La guerra secolare non ha soltanto distrutto le strutture di una società, ma ha anche determinato, col suo esito, cosa far sopravvivere del passato e cosa no, cosa affidare alla cultura alta e cosa far precipitare nel mare magnum dell’oralità.
La Carta de Logu
Durante il giudicato d’Arborea, tanto sotto il giudice Ugone II (1321-1335) quanto sotto Mariano IV (1347-1376), è documentato l’impiego delle lingue che accompagnano il volgare sardo: il latino e il catalano, in primo luogo, ma anche l’italiano e il francese.
In questo contesto Mariano IV emana, dopo il 1353, un Codice rurale che successivamente diviene il Codice di leggi civili e criminali (o penali) ripreso e promulgato da Eleonora, probabilmente nel 1392, nella formulazione nota come Carta de Logu.
La Carta de logu riveste un’importanza fondamentale nella storia sociale e linguistica della Sardegna. Estesa dal 1421 all’intero territorio isolano, fuorché alle città con statuto proprio, superando secolari e non lineari vicende storiche, rimane in vigore fino al 1827, quando fu sostituita dal Codice feliciano.
La storia della Carta de logu contiene ulteriori motivi di interesse che risiedono nella lingua in cui fu scritta e nel ruolo che svolse all’interno della società sarda.
La lingua in cui è redatta la carta è definita da Antonio Sanna "una varietà arborense". È una lingua di confine che mantiene al suo interno i due tipi dialettali logudorese e campidanese.
Accanto alla sua funzione giuridica importantissima, la Carta assolse a due compiti di grande rilievo:
  • ricordò in ogni momento ai sardi che, pur nella miriade di distinzioni interne e nella subalternità politica verso un dominatore esterno, appartenevano a un ethnos e che, anche sotto il profilo linguistico, potevano specchiarsi in un tratto comune, in quella "omogeneità primitiva" sulla quale si fondava la lingua della legge
  • abituò i sardi a considerare come evento normale il fatto che quel supremo documento fosse scritto non in una lingua aulica e distante dall’uso ma nel "tipo dialettale di un’area di confine"
Antonio Cano
Ad Antonio Cano si deve il primo poemetto in volgare, Sa Vitta et sa Morte et Passione de sanctu Gavinu, Prothu et Januariu.
Le notizie sulla sua vita sono scarse, si sa che è nato a Sassari alla fine del XIV secolo. Dopo essere stato rettore della villa di Giave, fu eletto abate di Saccargia e poi ordinato vescovo di Bisarcio prima di diventare arcivescovo di Sassari. Sa Vitta et sa Morte et Passione de sanctu Gavinu, Prothu et Januariu è la più antica opera letteraria in lingua sarda fino ad oggi conosciuta.
È un poemetto di argomento agiografico che ripropone, attingendo da fonti narrative medievali, il modello martiriale.
Gavino, Proto e Gianuario, martiri turritani, vengono riproposti come modelli esemplari di coerenza contro i falsi miti e i falsi valori, in una Sardegna che, a distanza di tredici secoli dal martirio, intende fondare sulla tradizione cristiana e sulla lingua e la cultura sarda, la propria identità di popolo che prende coscienza della propria condizione in un clima di accese speranze di riforma morale.
Le scelte retoriche, la spiccata tendenza alla drammatizzazione, la forza espressiva e l’arditezza del dettato rimandano ad una intertestualità ampia e ad una tradizione che, a partire dalle origini dell’Europa cristiana, si muove nell’alveo della ricca e multiforme letteratura di argomento religioso.
Il Laudario lirico
Altro testo di rilievo del periodo è il
Laudario lirico ritrovato da Damiano Filia a Borutta, che documenta anche per la Sardegna la presenza di tradizioni francescane paraliturgiche nutrite di musiche e canti.
L’Alziator ritiene che nelle laudi dalle quali è composto sia evidente "la derivazione dalla poesia italiana dei secoli precedenti". Dello stesso Laudario fanno parte anche la Laude de Nostra Signora de sa Rosa e le Laudes de sa Santa Rughe, in volgare sardo, che ricalcano lo schema e l’andatura dei tradizionali gosos sardi.
. NOTA .
I gosos sono le laudi per i santi locali, composte per lo più da ecclesiastici.

Letteratura e lingue
È significativo che nella Sardegna della fine del XV secolo, dove già cominciava a brillare il prestigio del castigliano, lo stesso destino della tradizione isolana colpisce la letteratura in catalano.
Ci rimangono infatti solo tre testi:
  • il Cant de la Sibilla,
  • la Vida y miracles del benaventurat sant’Anthiogo, entrambi di ambito paraliturgico nel quale si iscrive anche la tradizione popolare di goigs,
  • e le Cobles de la conquista des francesos, che celebrano il fallimento dell’invasione di Alghero da parte del Visconte Guglielmo di Narbona, nemico del re d’Aragona in quanto erede del titolo e dei beni dei Giudici di Arborea.
La stabilità politica acquisita alla fine del Quattrocento, che iscrisse definitivamente la Sardegna nel sistema iberico, non si tradusse immediatamente in un’egemonia culturale e linguistica castigliana.
La storia linguistica della Sardegna dal Trecento ai primi del Cinquecento può essere così schematizzata:
  • il sardo, in posizione subalterna dopo la caduta dell’ultimo Giudicato, resistette alla riduzione a puro e semplice dialetto grazie alle disposizioni della Carta de Logu, che ne legittimarono l’uso notarile e giuridico, e all’azione di alcuni centri religiosi e culturali quali quelli francescani;
  • il catalano penetrò lentamente, specie nel secolo che va dal 1450 al 1550, anche in ambiti sociali non elevati e nelle zone dell’Isola da cui era rimasto in precedenza escluso;
  • il castigliano si affermò inizialmente per il prestigio di cui godeva, poi per un’azione autoritaria realizzata specialmente dalle strutture ecclesiastiche;
  • la tradizione italiana perdura fortemente fino al XVI secolo, dopo si indebolisce fortemente.

Il Cinquecento
Note introduttive
Nel 1566 Nicolò Canelles fonda a Cagliari la prima stamperia, che comincia a stampare con regolarità testi per lo più d’argomento religioso, anche se non mancano i titoli degli autori classici. A questa attività, a partire dal 1571, Canelles affianca quella della diffusione di libri pubblicati altrove.
Il confronto con la cultura del tempo si mantiente nonostante le gravi difficoltà dell’isola quali:
  • pestilenze
  • scorrerie barbaresche
  • calo demografico
  • effetti devastanti della guerra franco spagnola
  • basso livello dell’istruzione pubblica.
La vivacità culturale del periodo è provata anche dal numero dei libri posseduti da alcuni illustri personaggi dell’epoca.
Permane il pluralismo linguistico:
  • Il catalano è prevalentemente la lingua delle attività giuridiche e amministrative, a Cagliari in particolare. Nel periodo dal 1450 al 1550 penetra anche in ambiti sociali non elevati e nelle zone dell’isola da cui in precedenza era escluso.
  • Il sardo, pur in posizione subalterna, è vivo in tutte le parti dell’isola, soprattutto negli ambienti popolari. Il suo utilizzo in campo giuridico e notarile resistette grazie alle disposizioni della Carta de Logu e all’azione di alcuni centri religiosi.
  • L’italiano è marginale e diffuso soprattutto negli ambienti del commercio genovese.
Il castigliano comincia a diffondersi, non senza difficoltà.
Il Cinquecento
La scelta della lingua
Il pluralismo linguistico si riflette anche nelle scelte linguistiche degli autori sardi.
  • L’algherese Antonio Lo Frasso (seconda metà del XVI secolo) scrive in castigliano e solo marginalmente in catalano e in sardo;
  • il canonico Gerolamo Araolla (1545 - fine del sec. XVI) scrive in castigliano, italiano e sardo;
  • il nobile bosano Pietro Delitala (1550 - 1592 circa) in italiano;
  • l’umanista Gian Francesco Fara scrive in latino;
  • Sigismondo Arquer in latino, italiano e castigliano.
  • Un cenacolo di studiosi sassaresi vive ed opera fra Sassari e le università di Pisa e di Bologna, scrivendo, dato l’ambito accademico in cui agiscono, prevalentemente in latino.
In questo quadro va intesa la caratteristica principale del Cinquecento isolano:
    • per la prima volta la Sardegna diviene oggetto di studio
    • il sardo viene utilizzato nella poesia amorosa e in quella celebrativa e encomiastica.
È da rimarcare, tuttavia, che gli autori non sono mossi da un forte sentimento di appartenenza, da un’identità sarda avvertita come culturalmente rilevante. Essi non scrivono di Sardegna o in sardo per inserirsi in un sistema isolano, ma per iscrivere la Sardegna e la sua lingua in un sistema europeo, per farla conoscere, dipingendola secondo le forme e i codici della cultura europea.
Il Cinquecento
La letteratura celebrativa ed encomiastica
Elevare la Sardegna ad una dignità culturale pari a quella di altri paesi europei significava anche elevare ed integrare nel sistema europeo i sardi, e in particolare i sardi colti, che si sentivano privi di radici e di appartenenza nel sistema culturale continentale.
Anche quando scrissero in sardo (come fece l’Araolla), anziché in latino o in italiano, lo fecero sì per esigenze di comunicazione interna - forse è il caso di ricordare che non pochi di essi erano sacerdoti e dunque con una naturale inclinazione per i generi e i toni didascalico-moraleggianti - ma soprattutto per dotare la Sardegna di quella tradizione letteraria, e quindi di quel lustro e di quella nobiltà che, mancando, la rendeva negletta.
In pieno ‘700 neoclassico il gesuita Matteo Madao tentò un’analoga operazione con una maggiore disponibilità a sostituire con l’invenzione ciò che la storia non forniva.
Nell’Ottocento, il canonico Giovanni Spano trovò che anche la lingua dovesse essere nobilitata e resa più illustre con l’inserimento di tanto lessico italiano, latino e ebraico.
È, insomma, una costante di alcuni autori sardi tentare una costruzione artificiale della lingua letteraria. I processi di imitazione ingenua delle lingue letterarie affermate svelano con chiarezza la debolezza del sistema letterario interno, dovuto a carenza di lettori, di istituzioni educative e culturali, alla reale natura sovrastrutturale dell’attività letteraria nel contesto di povertà e di privilegio.


Il Cinquecento
Il trilinguismo
I maggiori scrittori del Cinquecento utilizzano con intenti letterari più di una delle quattro lingue usate comunemente.
Il sardo è la lingua che serve per raggiungere un pubblico che parla il sardo attraverso l’intermediazione di un lettore che con questo pubblico ha un rapporto strettissimo, di solito il clero.
Lo spagnolo e l’italiano si rivolgono ad un ambito culturale più ampio e servono per comunicare con le istituzioni e con il potere.
Tra gli scrittori plurilingue meritano un rilievo particolare:
 

Antonio Lo Frasso
L’opera di Lo Frasso merita rilievo per il doppio e contemporaneo riferimento alle letterature italiana e spagnola e il gusto per la mescolanza dei generi e delle lingue. Egli scrisse prevalentemente in castigliano e, marginalmente, in sardo e in catalano.
Poeta e militare, originario di Alghero, Lo Frasso lasciò l'isola per trasferirsi in Spagna, dove compose in lingua spagnola tre operette intitolate:
  • Los mil y dozientos consejios y avisos discretos, che contiene consigli e ammonimenti rivolti, in versi, ai figli rimasti ad Alghero;
  • El verdadero discurso de la gloriosa victoria, cronaca in ottave della battaglia di Lepanto;
  • Los diez libros de la fortuna d'amor. A quest’ultima, pubblicata nel 1573, deve l’attenzione di Cervantes, che lo menziona nel Don Chisciotte. Il suo successo fu dovuto proprio al giudizio di Cervantes, che conosce Lo Frasso, ne ha letto l’opera e può parlarne ai lettori del Don Chisciotte con tono ironico e ammiccante. Los diez libros è un romanzo pastorale con spunti autobiografici, articolato in una serie di vicende ad intreccio, a metà strada tra il mitologico e l'avventuroso. Egli si rivolge qui ad un pubblico urbano, mondano e un po’ frivolo.
Se da un lato città come Alghero e Cagliari erano forse gli ambienti più aperti dell’Isola verso la cultura iberica e verso l’apertura europea, da un altro però, essendo prive di una solida tradizione culturale locale, si autointerpretavano secondo uno spirito coloniale, nell’eterno confronto con il centro lontano del potere, egemone, ammirato, imitato, temuto, da dover replicare per sentirsi nella storia. Non a caso, Lo Frasso, seppure per ragioni meramente giudiziarie, si trasferì da Alghero a Barcellona.
Egli comunque inserisce ne Los diez libros due sonetti in sardo logudorese, uno di argomento amoroso Cando si det finire custu ardente fogu e l’altro dedicato a San Leonardo Supremu gloriosu excelsadu, ed una lunga composizione in ottave intitolata Glossa sarda. L’inserimento di questi testi è giustificato con il lettore ora con banali motivi mimetici (San Leonardo è sardo, quindi occorre rivolgersi a lui in sardo), ora dalla curiosità salottiera delle dame barcellonesi verso l’inconsueta e poco nota lingua montana della patria di origine del protagonista Frexano.
Resta il fatto che, pur con i limiti critici di questo recupero del sardo per esotismi da salotto, Cando si det finire custu ardente fogu è la prima lirica d’amore della letteratura sarda, e che il logudorese di Lo Frasso è, come quello di Araolla, di buona qualità e fortemente influenzato dall’italiano. Se a ciò si aggiunge che Lo Frasso dedica un sonetto in castigliano a Gerolamo Vidini di cui parla anche Araolla nel suo Capidulu de una visione, non si può non nutrire il sospetto che anche il poeta algherese sia stato influenzato dal cenacolo dei sassaresi e dal loro programma sardo-centrico.
Gerolamo Araolla
Gerolamo Araolla (1545 - fine del XVI secolo) è l’autore che meglio di altri illumina tanto il clima del Cinquecento sardo, quanto l’eredità ricevuta dal XV secolo.
La sua prima opera è Sa vida su martiru et morte dessos gloriosos martires Gavinu, Brothu e Gianuari (1582), argomento (l’epopea dei santi, abbastanza innocua politicamente e culturalmente) sopravvissuto alla catastrofe della guerra e già trattato, come si è visto, dal vescovo di Sassari Antonio Cano.
Il suo scopo era duplice:
  • dare dignità letteraria al logudorese
  • affrontare e recuperare un tema nazional-religioso molto noto e diffuso, e quindi vocato ad assumere funzioni edificanti.
Nel 1597 Araolla pubblica la raccolta di poesie in diversi metri intitolata Rimas diversas spirituales, nella quale include testi in sardo, in castigliano e in italiano. Il suo programma è cambiato: non più un orizzonte tutto interno di nobilitazione del sardo e della Sardegna, ma un inserimento di quell’obiettivo nel contesto culturale dell’Italia e della Spagna.

Araolla conosce la grande letteratura italiana, anche quella contemporanea; ha studiato, analizzato e riflettuto, riuscendo ed elaborare un programma acuto e moderno; a lui si deve la stesura del bando della nuova letteratura sarda.
Come la maggior parte degli autori sardi, anche Araolla confronta le proprie esigenze espressive con le opere realizzate da sos eccellentes et famosos Poetas Italianos et Spagnolos.
Sigismondo Arquer
La figura di Sigismondo Arquer (1530-1571) si presenta rispetto all’intero sistema sardo come dotata di requisiti di eccellenza e di originalità. Non tanto per la tragicità della sua esistenza, ma anche e soprattutto per l’originalità dei punti di vista e l’eleganza della lingua che caratterizzarono l’unica sua opera relativa alla Sardegna, la Sardiniae brevis historia et descriptio.
Avvocato, teologo e studioso cagliaritano, frequentò ambienti religiosi legati al luteranesimo. Nel 1563 venne accusato di eresia dall’Inquisizione, rinchiuso nel carcere di Toledo e sottoposto a giudizio. Condannato, morì sul rogo il 4 giugno 1571.
Nel 1549 collaborò a Basilea con Sebastian Münster alla stesura della Cosmographia Universalis, realizzando una monografia sulla Sardegna, Sardiniae brevis historia et descriptio, cui era allegata una carta dell'isola e una veduta di Cagliari (Tabula corographica insulae ac metropolis illustrata).
Nella sua Sardiniae brevis historia et descriptio Arquer assume la sua fede come fondamento dell’interpretazione della storia. Il suo rapporto diretto e personale con la Scrittura era animato da una notevole autonomia dottrinaria.
Anche il rapporto con i classici è caratterizzato da pari autonomia. Questi, anzi, vengono puntualmente smentiti attraverso argomentazioni fondate sull’esperienza personale. Il giudizio sulla società del suo tempo è netto: è una società malata perché priva di sani principi, non perché mal governata o ribelle.
Tuttavia questi giudizi che investono la sfera morale e dipingono l’Isola come un covo di ignoranti, si ritrovano concentrati nel capitolo intitolato De civitatibus. Il luogo dell’immoralità è la città, e specialmente l’unica vera città, cioè Cagliari, non a caso sede di quel potere locale che più di ogni altro odiò Arquer.
Egli fu l’unico intellettuale sardo a non essere ossessionato dall’ansia di integrazione e di riconoscimento da parte della cultura europea. Usava un latino di rara raffinatezza, chiaro, semplice ed elegante.
Arquer conosceva bene, oltre che il latino, il sardo, il castigliano e l’italiano, come dimostrano le sue lettere a Gaspar Centelles e le Coplas a l’imagen del Crucifixo, composte durante la prigionia a cui fu sottoposto durante il lunghissimo processo per eresia.
La qualità intrinseca dell’opera, unita al prestigio della collocazione nella quale apparve, fanno della Sardiniae brevis historia et descriptio una pietra miliare nel panorama delle lettere isolane. È l’archetipo di una serie di scritti del genere letterario storico-descrittivo, destinato ad affermarsi con i secoli nella cultura isolana.
La personalità dell’Arquer si staglia nel panorama sardo, emblematica per la grandezza, contraddittoria col quadro generale e, nel contempo, del tutto coerente con le aspirazioni e le qualità migliori che quel contesto era in grado di produrre. La sua vicenda, poi, è come un sigillo che si è impresso nella coscienza di non pochi intellettuali sardi e ha determinato un’impronta, come un mito che non ha perso vitalità nel corso del tempo. Dottrina, dirittura morale, coraggio, libertà di pensiero, spirito critico, imparzialità, amore per la propria terra: tali le caratteristiche che, anche nel Novecento, vengono attribuite all’autore cinquecentesco da un’intellettualità colta e sardista per la quale la figura dell’Arquer ha rappresentato un modello ideale.
Storici ed eruditi
Oltre a Sigismondo Arquer il contesto culturale isolano dell’epoca può vantare autori di opere storiche, esperti di diritto e raccoglitori di leggi, scienziati, teologi.
Tra questi
Giovanni Francesco Fara, Giovanni Arca e Antioco Brondo, Francesco Bellit e Pietro Giovanni Arquer, Gavino Sambigucci e Gian Tommaso Porcell. Scrivono di storia, di geografia e di diritto, di filosofia, di medicina e, talora, verseggiano, utilizzando il latino e lo spagnolo.
 
Tratti caratteristici:
  • appartengono ai più diversi settori della vita civile: sacerdoti, giuristi, professori dell’Università, studiosi non inseriti in una struttura accademica, medici e filosofi;
  • mostrano un notevole dinamismo culturale (viaggiano, tengono conferenze, scambiano lettere, leggono opere letterarie, fanno circolare le proprie); rappresentano una notevole varietà di interessi, che si rivela nella qualità delle opere prodotte;
  • mostrano una doppia attenzione verso la cultura italiana e quella spagnola, la frequenza delle università italiane e di quelle iberiche la scelta dell’una o dell’altra lingua, in alcuni casi di entrambe, per accompagnare le scritture in latino.
Giovanni Francesco Fara
Giovanni Francesco Fara è considerato il padre della storiografia sarda, l’Erodoto di Sardegna.
Storico, geografo ed ecclesiastico, nacque a Sassari nel 1543 da una delle più illustri casate della città.
Nel 1567 pubblicò a Firenze il trattato De essentia infantis, unica opera della sua produzione giuridica giunta fino a noi.
La sua fama letteraria è legata soprattutto a due opere del genere erudito-storiografico tardo cinquecentesco:
1.    De Rebus Sardois, opera annalistica in quattro libri, di cui il primo fu pubblicato nel 1580, gli altri nel 1835. Scritta in un latino che riprende i modi degli storici classici, costituisce un importante punto di riferimento per gli storici posteriori.
2.    De chorographia Sardiniae, rimasta inedita sino al 1835, unisce all’informazione storica la descrizione geografica, secondo un modulo destinato a ritornare nel corso del tempo.
Nel De corographia Sardiniae egli segue il canovaccio dell’opera di Sigismondo Arquer, inserendone anche alcuni passi senza citare l’autore, e censurando dell’Arquer l’impostazione ideologico-religiosa.
 
Fara condivise con Araolla il progetto di fondare una tradizione di studi sardi da realizzare secondo una prospettiva che ne garantisse l’inserimento nei più vasti circuiti italiani e spagnoli.
Si laureò a Pisa nel 1567; il 6 dicembre del 1568 il vescovo di Sassari lo nominò arciprete. Il Capitolo turritano contestò la nomina ed egli dovette recarsi a Roma per perorare e difendere la sua causa. Qui risiedette probabilmente dal 1570 al 1578. Fu forse in questo periodo che ebbe modo di leggere un numero consistente di documenti custoditi negli archivi e nelle biblioteche vaticane. Fu lì che conobbe una Sardegna che gli era ignota e che entrò in contatto con la storiografia erudita e curiale romana che molto influì sulle sue scelte metodologiche.
Il suo De rebus sardois - di cui riuscì a pubblicare solo il primo libro, essendo morto nel 1591 poco dopo essere stato nominato vescovo di Bosa - costituisce un corpus di citazioni e di notizie che tentano di restituire ai contemporanei il senso della memoria storica della Sardegna.
L’opera dei gesuiti
Fanno eccezione, rispetto a queste dinamiche di integrazione e legittimazione, i gesuiti del XVI secolo. Con una serie di missioni nei piccoli villaggi dell’interno inaugurarono un’opera di rievangelizzazione e di acculturazione che, per un brevissimo periodo - fino a quando non venne vietato dal re - prevedette anche l’insegnamento in sardo, secondo la pedagogia missionaria gesuitica che i padri ebbero modo di sperimentare anche in Sudamerica. Si intende cioè dire che, a differenza degli intellettuali sardi, l’interesse dei Gesuiti per la Sardegna, per quanto fosse in primo luogo pastorale, era più incardinato sull’urgenza di capire i processi isolani che non sulla necessità di ingentilirli o sublimarli per ottenere, attraverso questa finzione, l’integrazione non della Sardegna, ma dei suoi ceti egemoni, in un sistema più ampio.
Ciò spiega perché si debba alla penna di un ex gesuita, il bittese Giovanni Arca (1562/63 ca - 1599), il De barbaricinorum libelli, che è un vero testo di fondazione di un mito e di un'ideologia.
Arca ripropone per i Barbaricini appunto, le origini mitiche derivate da Iolao, compagno di Ercole, eponimo degli Ilienses, nome con cui venivano designate in diverse fonti antiche alcune popolazioni dell'interno dell'Isola.
Il mito della Barbagia - e con essa di ogni roccaforte montana della Sardegna - come luogo incontaminato di un'antichità leggendaria, sede di fiere popolazioni resistenti agli invasori, luogo insomma della più schietta identità isolana, nobilitata nel Cinquecento con il richiamo alle origini classiche e nell'Ottocento romantico con i toni e i colori del primitivo, del fiero e del feroce, ha avuto un pendant ideologico non irrilevante che dura fino ai nostri giorni.
La narrazione è intessuta su un fitto reticolo di fonti che l'autore non esita a piegare pur di raggiungere l’obbiettivo di creare una vera e propria epopea dei Barbaricini.
L’opera di Arca attesta che il localismo in Sardegna si radica, almeno nel suo riflesso letterario, contestualmente all’affermarsi di un’integrazione sovraregionale e pertanto è il segno di uno squilibrio interno, non di una chiusura verso l’esterno.
Pietro Delitala
Forse il più integrato nel clima culturale italiano fu Pietro Delitala (1550 -1592 circa).
Nato a Bosa, Delitala, durante il suo lungo esilio in Italia, entra in contatto con gli ambienti letterari e, probabilmente, anche col Tasso, la cui opera, comunque, conosce e considera quale indispensabile punto di riferimento.
È autore di un canzoniere in lingua italiana,
Rime diverse, di chiara ispirazione petrarchesca, pubblicato a Cagliari nel 1596.
Nell’opera Delitala si dimostra inserito negli sviluppi manieristici della tradizione lirica italiana, la materia delle poesie è ricca di interessanti riferimenti autobiografici e alla realtà sarda.
È stata messa in dubbio la conoscenza personale del Tasso da parte del Delitala, ma il sonetto indirizzato all’autore della Gerusalemme liberata, sembra confermare questo rapporto.
Nell’introduzione alla sua raccolta si scusa per avere scelto l’italiano al posto dello spagnolo o del sardo e chiede "clementia" per la sua prova poetica. La sua opera rappresenta al meglio la tendenza, da parte degli intellettuali sardi, a mantenere i tre filoni della sua tradizione letteraria: quello italiano, quello spagnolo e quello sardo.
Il Seicento
Note introduttive
Durante il Seicento, tutti i testi in castigliano sono opera di esponenti del ceto feudale o della burocrazia del Regno; quelli in sardo sono opera di sacerdoti di periferia, parroci di piccoli paesi o religiosi di alcuni conventi dell’interno che praticano generi minori o si dedicano alla traduzione a fini didascalici della tradizione agiografica.
La coesistenza dei due sistemi linguistici nei testi non marca solo un confine sociale, tra istruiti e ricchi da un lato, e incolti e poveri dall’altro, ma anche geografico, tra la città e la periferia.
È emblematico in tal senso il contrasto tra il cittadino e il pastore nell’Alabanças de San George obispo Suelense Calaritano di Juan Francisco Carmona (giurato di Cagliari nel 1623), dove, oltre alla contrapposizione dei codici e degli stili (da una parte l’elaborato castigliano del cittadino, dall’altro il sardo elementare del pastore) si ha anche il topos del mondo rurale ignorante e credulone, esposto alla facile e compassionevole ironia del mondo della città e della sua cultura.
Nel Seicento la Sardegna passa dall’integrazione subita a quella voluta.
Il Seicento
Eventi storici
Il secolo XVII si apre per l’isola con la convocazione del Parlamento che stabilisce misure in favore dell’agricoltura, del riordino delle strade e dell’erezione di nuove torri per la difesa costiera.

Su richiesta degli Stamenti sono istituite le Università a Cagliari (1626) e a Sassari (1632).
Nel corso del secolo la situazione dell’isola si fa via via più difficile con la fiscalità in progressivo aumento per contribuire alle spese militari della corona spagnola e, soprattutto, con la terribile pestilenza che dal 1652 al 1657 flagellò l’isola decimando la popolazione.
Si nota un quadro strutturale molto difficile, nel quale si innestano gli avvenimenti storici contingenti:
  • gli aumenti dei donativi
  • la recrudescenza delle incursioni barbaresche
  • la guerra dei Trent’anni
  • la travagliata vita politica, che culmina negli assassinii di don Agostino Castelvì, marchese di Laconi, e del viceré, marchese di Camarassa.
Il Seicento
Romanzieri e poeti
Nel Seicento lo spagnolo è adottato dagli intellettuali sardi come lingua letteraria, di cultura.
La cultura sarda entra a far parte dell’universo della cultura barocca.
Ogni scrittore sceglie i propri modelli e alla fine produce un’opera originale, oppure una ricombinazione, un pastiche, destinato a rendere complesso il lavoro dei critici che vogliano descriverne le ascendenze letterarie.
Jacinto Arnal de Bolea è autore di un romanzo in stile culterano intitolato El Forastero.
Il forestiero Carlo giunge a turbare la tranquilla esistenza di alcune nobili fanciulle, tra cui quella di Laura, moglie del suo persecutore, il duca Felisardo. Nell’intricatissima vicenda non mancano matrimoni e figli illegittimi, non ultimo quello avuto da Carlo e Laura. Il lieto fine compone ogni tensione: vengono riscoperte le origini nobili del protagonista e i due amanti, dopo la morte di Felisardo, possono finalmente sposarsi. Arnal de Bolea aveva già pubblicato nel 1627 gli Encomios al torneo, poema in ottave in cui descrive il torneo cavalleresco che si svolgeva ogni anno a Cagliari in occasione della festa di San Saturnino ed elogia alcuni nobili sardi.
El forastero è scritto in un castigliano ricco di latinismi, italianismi, sardismi e francesismi e, mentre da un lato documenta il forte legame del de Bolea con la Sardegna e in particolare con Cagliari, "madre de forasteros", dall’altro mostra chiaramente i rapporti che legano l’autore alla letteratura spagnola.
Nel caso dell’opera del cagliaritano Giuseppe Zatrillas Vico, i pareri sono discordi sia sulla valutazione degli aspetti propriamente letterari, sia per quanto concerne il giudizio riguardante l’opera posta in relazione con la società e la cultura del suo tempo.
Cagliaritano, di famiglia nobile, oltre che coltivare le lettere, Giuseppe Zatrillas svolse importanti incarichi politici. Nello svolgimento di questi fu accusato di tradimento, esiliato e imprigionato a Tolone. Il suo romanzo Engaños y desengaños del profano amor (1687-1688), che ebbe molta fortuna all'epoca, è incentrato sulla relazione amorosa tra il duca Don Federigo e Donna Elvira Peralta.
La trama è fortemente intricata e appesantita dalla magniloquenza tipica dello stile barocco, mentre abbondano le sentenze morali (las moralidades) volte a scoraggiare i peccaminosi amori adulterini, secondo un gusto controriformistico che tanto favore incontrava nella cultura spagnola del tempo.
Il Seicento
Storici ed eruditi. Vico, Vidal e Aleo
Il Seicento è ricchissimo di storici. Il motivo di questa ricchezza si ritrova nel contesto politico. Il confronto tra Sassari e Cagliari, confronto di puro potere, si ammantò di cultura e di letteratura con la difesa, l’esaltazione e la riscoperta, per ognuna delle città, di una legione di martiri, esibiti come prove del primato del nord sul sud dell’isola e viceversa.
Spesso questo localismo sfociò in opere storiografiche di intento propagandistico, ma con dei risvolti e delle motivazioni diverse rispetto a quelle che avevano caratterizzato il secolo precendente.
Il localismo del XVII secolo è propaganda politica, assolutamente inutile rispetto all’integrazione della Sardegna nel mondo ispanico, ma rilevante come strumento della lotta tra diverse élites politiche per la conquista o il rafforzamento del poco potere interno e dei suoi processi di derivazione dalla corona spagnola.
La produzione di un’estetica del localismo come supporto propagandistico dell’azione di un ceto politico aristocratico cittadino, o cantonale o territoriale, è una costante della contiguità tra intellettuali e potere che ha prodotto, fino ai nostri giorni, non poche deformazioni del sistema culturale isolano e dei suoi rapporti con il sistema europeo.
Rientra in questo quadro lHistoria general de la Isla y Reyno de Cerdeña dello storico sassarese
Francisco de Vico, primo magistrato sardo eletto al Consiglio d’Aragona, il quale riprende la tradizione storiografica sarda e la usa come strumento di lotta politica.
Si inseriscono in questo contesto anche le opere del grande rivale cagliaritano del De Vico, il cappuccino Salvatore Vidal (il cui vero nome era Giovanni Andrea Contini) che scrisse di storia profana e religiosa, di letteratura e poesia, utilizzando il latino, lo spagnolo e il sardo. La difesa che egli fa del sardo nella sua Urania Sulcitana (1638) va compresa all’interno di questi scontri campanilistici, e quindi non contraddice, e anzi conferma, il quadro di subordinazione del sardo.
È invece parzialmente diverso il caso di Jorge Aleo (1620 circa - 1684 ca) cappuccino, coinvolto nella lotta politica cagliaritana. La sua Historia cronológica y verdadera de todos los sucesos y casos particulares sucedidos en la Isla y Reyno de Serdeña del año 1637 al año 1672 è sì un’opera storica, ma soprattutto un’autodifesa.
La sua opera manifesta il tentativo delle della classe intellettuale sarda di portare avanti le istanze autonomistiche.
Il Seicento
Il teatro
A differenza del carattere elitario, ideologico e artistico, del Rinascimento, il Barocco, com’è noto, recupera molti aspetti della cultura popolare e medievale: il gusto per il macabro, per lo spettacolare, per le grandi manifestazioni collettive di dolore o di gioia e per il carpe diem carnevalesco.
In un’area di confine tra la liturgia e la devozione popolare si collocano le sacre rappresentazioni, spesso veicolo di evangelizzazione e di educazione del popolo - secondo la regola dell’insegnare dilettando - spesso, specie quando non sono opera di ecclesiastici, luoghi di un sincretismo tra cultura alta e cultura popolare, tra cultura scritta e cultura orale, che lascia trasparire realtà più complesse di quelle ricavabili dalla lettera dei testi. È il pubblico a cui questi testi erano destinati che ci consente di comprendere e ben interpretare l’uso del sardo che vi troviamo largamente attestato.

Nel Seicento dunque assume un’importanza notevole il teatro, e soprattutto la rappresentazione drammatica. L’attività teatrale, che costituisce un elemento importante dell’educazione religiosa e letteraria, impiega molteplici lingue: il catalano, che comincia ad avere una presenza meno marcata, il castigliano, che invece si espande, il sardo e, in qualche caso, il latino.

L’ispanizzazione determinava un gusto per lo spettacolo e la festa barocca che in Sardegna trovava alimento negli aspetti drammatici della situazione sociale ed economica e nella tensione religiosa. Rientrano in questo quadro il genere drammatico delle sacre rappresentazioni e quello paralitugico dei gosos.
Gli autori di testi teatrali vivono nel Seicento l’esperienza di chi si trova in bilico fra universi culturali diversi, percepisce il fascino della propria, tradizione, ancorché modesta, raccoglie le suggestioni provenienti dalla grande cultura iberica e, contemporaneamente, non dimentica gli stimoli della cultura e della letteratura italiana.
Vanno citate a questo proposito quindi le opere di Juan Francisco Carmona, Alabanças de San George obispo Suelense Calaritano, e la Passión de Christo Nuestro Señor che descrivono le manifestazioni per il ritrovamento del corpo dei santi e contengono gosos in lingua catalana e castigliana.
Meritano di essere menzionati anche gli scritti di Antonio Maria de Esterzili, cappuccino (1644-1727), Comedia de la passion de Nuestro Señor Jesu Christo, Conçueta del nacimiento de Christo, Rapresentacion del desenclaimento de la cruz de Jesu Christo Nuestro Señor.
Un discorso a parte meritano le opere settecentesche di Giovanni Delogu Ibba, rettore di Villanova Monteleone, Tragedia in su isclavamentu de su sacrosantu corpus de nostru Sennore Iesu Christu, opera che occupa il settimo libro del suo Index libri vitae, zibaldone di versi in latino e in sardo di cui sono particolarmente interessanti i gosos del sesto libro; le opere del sarto di San Vero Milis Maurizio Carrus, Sa passione et morte de nostru Segnore Jesu Christu segundu sos battor evangelistas, e del bororese Gian Pietro Chessa Cappay, Historia de la vida y hechos de San Luxorio, dove interviene anche il personaggio comico, che parla in sardo, Barrilotu, mentre san Lussorio parla in castigliano.
Il testo drammatico più rilevante del periodo è una commedia in lingua castigliana intitolata El saco imaginado del gesuita algherese Antioco del Arca, rappresentata per la prima volta nel 1622, quando vennero riportati a Porto Torres i resti dei santi Gavino, Proto e Gianuario. L’autore si rivolge qui ad un pubblico non popolare e più esigente sotto il profilo estetico.
Si sviluppano in ambito sardo i gosos (goccius) che riprendono un modulo della poesia religiosa catalana finendo col divenire un’espressione tipica di una poesia sarda fortemente legata alle forme dell’oralità e della recitazione pubblica.
«Lo sviluppo del teatro nel Seicento sardo nasce dall’incontro di tre fattori: l’intensa vita religiosa locale; la preesistente tradizione teatrale a livello popolare e, infine, l’innesto sulle tradizioni indigene della cultura spagnola e italiana»
Sergio Bullegas
Degna di rilievo, per originalità e livello culturale, è la proposta per un uso letterario del sardo, presente nell’Introduzione al Legendariu de santas virgines de Jesu Christu (traduzione in sardo di una serie di vite di sante celebri datata 1627) di Gian Matteo Garipa. Il sacerdote orgolese, parroco di Baunei e Triei, sostiene la necessità dell’insegnamento del sardo nelle scuole come prerequisito per il corretto apprendimento, da parte degli studenti, anche delle altre lingue.
Sembrerebbe la difesa di una lingua sentita come propria, apprezzata per le sue qualità intrinseche e per il valore didattico che potrebbe assumere, eppure definita "limba latina sarda". Consapevole di aver ricevuto quella lingua in eredità dal peggiore dei dominatori, Garipa mostra la serena consapevolezza di chi sa di appartenere a un corpo sociale fortificato da secoli di traversie, reso capace di metabolizzare qualunque elemento estraneo e di trasformarlo in nutrimento per la propria identità.
Egli ebbe da una parte la consapevolezza, di tipo linguistico, del carattere conservativo del sardo e dunque della sua maggiore prossimità al latino; dall’altra fu convinto dell’urgenza di dotare la Sardegna di una tradizione letteraria «nazionale», ossia, come si direbbe oggi, di una lingua letteraria uniformemente usata in tutto il territorio dell’isola e sorretta da un repertorio di testi in grado di competere con quelli dell e altre lingue europee.
Il Settecento
I cambiamenti
 
Nel 1720 l’isola è assegnata al Piemonte, che avrebbe preferito mantenere la Sicilia. Termina così la dominazione spagnola cominciata nel 1323.
La situazione dell’isola è grave per ragioni di diversa natura:
 
  • calo demografico
  • estrema miseria
  • agricoltura ridotta a un puro livello di sussistenza
  • difficoltà dei trasporti e commercio praticamente inesistente
  • condizioni igieniche e sanitarie assolutamente deficitarie
  • ignoranza diffusa
  • ordine pubblico precario: banditismo e scorrerie barbaresche.
Il Settecento è dunque per i sardi un secolo di importanti mutamenti.
Dopo aver gravitato per secoli nell’orbita culturale del mondo ispanico, l’Isola fu ricondotta nell’area della cultura italiana.
La dinastia dei Savoia, per crearsi una base di consenso allargata, si preoccupò di formare una classe dirigente che rispondesse meglio alle esigenze di una società civile improntata a modelli, se non proprio illuministici, almeno più moderni.

Per contrastare l’uso del castigliano, che continuò ancora a lungo ad essere la lingua ufficiale del Regno, i Piemontesi, nonostante si fossero impegnati col trattato di Londra a non modificare lo stato di cose esistente, e cioè l’arretrata articolazione feudale del Regnum Sardiniae, promossero lo studio dell’italiano, istituendo nuove cattedre di grammatica e di eloquenza italiana che dovevano italianizzare le professioni.
D’altra parte, per trovare consenso nel popolo e per decastiglianizzare la Sardegna più in fretta, promossero anche l’uso della lingua sarda. Questo programma di doppio binario linguistico, rivolto a rimuovere le tracce del vecchio potere feudale spagnolo e a consolidare il nuovo ordine, continua per tutto il Settecento, e comincia a dare i suoi frutti, per quel che riguarda la comunicazione letteraria, alla fine del secolo con una larga produzione di versi scritti in sardo che merita già attenta considerazione, ma anche con buone opere di divulgazione "scientifica".
Il Settecento
Le riforme sabaude
L’economia sarda è arretrata: permangono strutture feudali superate e un sistema di sfruttamento della terra inefficace.
Le riforme sabaude, inizialmente molto lente, sono dettate dalla volontà di riordinare il possesso e razionalizzarne lo sfruttamento.
Il processo riformistico, che coinvolgerà anche le università di Sassari e Cagliari toglierà gli intellettuali sardi dalla sfera di immobilismo culturale nella quale erano caduti.

Con il passaggio dell’Isola sotto casa Savoia (1720), dunque, il sistema sardo-ispanico progressivamente si sfalda.
Il castigliano sopravvive per altri quarant’anni come una lingua alla deriva, come una lingua ormai priva di ciò che le conferiva prestigio; l’aristocrazia sarda, dopo una fase di sbandamento, è la più interessata ad omologarsi rapidamente agli usi linguistici e culturali della nuova Casa regnante, ma deve passare attraverso un rapido apprendistato linguistico e culturale che darà i suoi frutti ovviamente solo con le nuove generazioni.
Senza voler fare delle valutazioni sull’operato dei Savoia, si può comunque sostenere che la riforma delle università e della scuola in genere (1760-65), promossa dal paternalismo illuminato del conte Bogino, ebbe come esito positivo la nascita di un autentico ceto professionale di intellettuali che si fecero interpreti in Sardegna delle idee e dei metodi dell’Illuminismo prima e del Romanticismo poi.
Dal punto di vista linguistico, nonostante l’iniziale atteggiamento cauto dei piemontesi, il passaggio imposto da un’influenza linguistica all’altra non è indolore.
Lo spagnolo continua ad essere parlato come prima: il primi atti del nuovo sovrano sono in quella lingua, essendo sconosciuto ai nuovi sudditi il francese che nel Piemonte veniva impiegato nella vita pubblica e poco noto l’italiano che, per altro, anche a Torino non doveva essere adoperato con molta proprietà.
Con il tempo il sardo riacquista spazio e l’italiano viene nuovamente impiegato dal ceto dirigente.
La riforma sabauda ha tra i suoi principali propositi quello di sostituire la lingua spagnola con quella italiana.
  • Nel 1726 viene commissionato al gesuita Antonio Faletti lo studio di un piano per l’adozione della nuova lingua.
  • Nel 1760 viene varato un nuovo ordinamento degli studi inferiori che precede di qualche anno la riforma delle università di Cagliari e di Sassari avviata nel biennio 1764-65.
Si determina, in tal modo, un innalzamento della qualità degli studi e la formazione di un giovane ceto intellettuale destinato a operare tanto nel campo della cultura quanto in quello della pubblica amministrazione e dell’imprenditoria, attento allo sviluppo e alla circolazione delle idee la cui diffusione stava trasformando il volto dell’Europa e, sia pure con qualche ritardo, anche quello dell’Italia. Da queste riforme prende un percorso che porterà alla riscoperta della storia sarda che condurrà ad una vasta produzione di romanzi storici nella seconda metà dell’Ottocento.
Il Settecento
La poesia
Il pluralismo linguistico che caratterizza la produzione didascalica e quella drammaturgica si ritrova anche nell’attività poetica del Settecento, che si orienta prevalentemente verso la scelta dell’italiano o del sardo (anche se non mancano versi in castigliano e in latino) a seconda delle scelte culturali, degli orientamenti letterari o politici, dell’appartenenza a questo o a quell’altro ambito sociale, a un contesto urbano oppure a quello del paese, alla vicinanza rispetto alla corte e, quindi, al potere politico, delle personali visioni del mondo e delle concezioni relative alle tematiche nazionali sarde.

I processi di italianizzazione incentivati dal governo sabaudo raccolgono il consenso dei letterati gravitanti nell’ambito dell’Arcadia e, più ampiamente, di coloro che partecipavano agli avvenimenti di corte, ai compleanni regali, alle nascite e alle morti, alle monacazioni e ai matrimoni, con un commento poetico.
Nell’ambito della letteratura encomiastica sono da segnalare l’opera di Luigi Soffi, autore di orazioni sacre e di versi raccolti sotto il titolo di Poesie (1784), e quella del teologo Giovanni Maria Dettori che si dedicò alla composizione di poesie d’occasione, tradusse in italiano il poemetto Il trionfo della Sardegna di Raimondo Congiu e il salmo 79.
  La figura di maggior spicco è certamente quella di Antonio Marcello (1730-1799) che rompendo la tradizione drammaturgica derivante dall’influsso ispanico, prese a modello il teatro italiano e, in particolare, il melodramma metastasiano componendo cinque drammi per musica, tre dei quali sono giunti fino a noi:
  • Il Marcello (1784)
  • La morte del giovane Marcello
  • Olimpia ovvero l’estinzione della stirpe di Alessandro il Grande (1785)
  
La sua produzione testimonia un’indipendenza di spirito che si manifesta anche nella scelta di premettere ai drammi scritti in italiano alcuni versi castigliani che documentano il persistere del fascino esercitato dalla cultura spagnola.
Il Settecento
La poesia. Berlendis e Carboni
Come detto, sul versante letterario, l’iscrizione della Sardegna nel sistema culturale italiano avviene sotto il segno iniziale dell’Arcadia e del Neoclassicismo. Un ruolo attivo svolgono, in questa operazione di costruzione di una nuova classe dirigente e di diffusione di una nuova estetica, i gesuiti.
Si pensi al vicentino Angelo Francesco Berlendis (1735-1794), professore di eloquenza italiana prima all’Università di Sassari e poi di Cagliari, autore di sonetti, madrigali, epigrammi, nei quali si rifece prevalentemente al Frugoni 
– nonché di due tragedie la Sardi liberata e il San Saturnino.
Nel 1764 entrò a far parte della Compagnia di Gesù anche Francesco Carboni (1746-1817), il maggiore poeta didascalico sardo che scrisse anche in latino, in italiano (Poesie italiane e latine (1774), Sonetti anacreontici (1774), Carmina nunc primum (edita nel 1776) ecc.) e in sardo (De corde Jesu. Sonetti in sardo logudorese sull’Eucarestia, (1842). Tra i suoi titoli tipicamente didascalici ricordiamo il De sardoa intemperie (1772), La sanità dei letterati (1774), La coltivazione della rosa (1776), De corallis (1779).
Carboni è il capostipite di una serie di poeti che si occuparono di agricoltura, di pesca, di allevamento del baco da seta, rispondendo così da una parte a una sincera esigenza di partecipazione alla modernizzazione dell’Isola, e dall’altra indulgendo al paternalismo dei Savoia che voleva l’Isola più ricca ma lasciava volutamente irrisolti diversi problemi inerenti la libertà dei sardi.
Egli padroneggiò la lingua letteraria latina e, al di là dei riecheggiamenti dei classici e degli umanisti, riuscì a lasciar trasparire costantemente l’amore per la bellezza ed i valori della propria terra senza per questo farsene lodatore entusiasta, anzi guardandola con occhio critico, attento piuttosto alla soluzione dei problemi che la affliggevano. In questo seguiva i dettami di una poetica illuministica che lo induceva a vestire di favole argomenti di carattere civile che valessero ad indicare le vie del progresso dell’Isola secondo una linea di sviluppo economico basata sulle risorse naturali. Certo la scelta della lingua limitava il suo pubblico, ma lo metteva anche al riparo da censure.
Il Settecento
Antonio Purqueddu
Anche Antonio Purqueddu è un significativo rappresentante della intellettualità sarda aperta alla cultura contemporanea.
Egli ben rappresenta l’orizzonte culturale e morale di questo gruppo di scrittori, prevalentemente ecclesiastici che aderirono sinceramente alla cultura dei Lumi ma mai fino ad abbracciarne gli aspetti politicamente più innovativi ed eversivi.
Il suo Tesoro della Sardegna nel coltivo dei bachi e gelsi fu pubblicato nel 1779 in una pregevole edizione della Reale Stamperia di Cagliari.
Il poema, composto da 199 ottave divise in tre canti e scritto in sardo meridionale (con traduzione italiana) propone anche un ampio apparato di annotazioni esplicative che contengono molteplici informazioni riguardanti gli usi, i costumi, le tradizioni popolari, i proverbi, la lingua, la fauna della Sardegna.
Significativa anche la concezione della lingua, per la quale fa una scelta che potrebbe essere definita antipurista: ponendosi in una posizione di assoluta indipendenza, egli ricorre di volta in volta agli apporti linguistici che appaiono funzionali rispetto al suo scopo.
È dello stesso periodo l’opera di Matteo Madau che introduce l’ipotesi di ripulimento della lingua sarda.
Purqueddu compie una scelta opposta a quella di Madau. Nel suo Tesoro si ritrovano sullo stesso piano lingue e dialetti diversi (sardo, prevalentemente ma non esclusivamente campidanese).
Madau si propone di sviluppare una riflessione sulla lingua sarda, giungendo a un’ipotesi di tipo puristico. Compone versi e numerose opere, sia storiche, sia, soprattutto, linguistiche in cui la questione della lingua sembra comprendere e rappresentare altre e più celate questioni, aspirazioni politiche, idealità riguardanti la Sardegna.

Nel Saggio d’un’opera intitolata «il ripulimento della lingua sarda» lavorato sopra la sua analogia colle due matrici lingue la greca e la latina (1782), la sua ipotesi di ripulimento, che dovrebbe portare il logudorese quanto più possibile vicino alla “matrice lingua” latina, pur con tutti i suoi limiti, ha come obiettivo quello di dare al sardo maggiore dignità, come merita una lingua nazionale.
Il Settecento
La poesia in sardo
Nel Settecento ebbe una notevole diffusione la poesia in sardo, soprattutto legata al mondo tradizionale delle poesia orale che veniva affidata alla memoria degli ascoltatori.
Pietro Pisurzi (1724-1799), di umili origini, compiuti fra notevoli difficoltà economiche gli studi fino a divenire sacerdote e poi parroco di Tissi, elaborò un’ampia produzione poetica andata per lo più perduta.
Ciò che è giunto fino a noi è però sufficiente a farci apprezzare le qualità di un autore capace di mettere in relazione nei suoi versi le ascendenze letterarie con la freschezza derivante dal riferimento a un mondo della realtà dal quale era possibile attingere non solo tematiche ma anche modalità stilistiche e linguistiche.
Godono di vasta notorietà due sue canzoni, S’abe e S’anzone, favole nelle quali le massime morali e i contenuti allegorici sono espressi con levità poetica.
Giovan Pietro Cubeddu (1748-1829), noto come Padre Luca, sacerdote scolopio, abbandonò l’ordine a causa di una malattia e si ritirò a vivere nelle campagne fra Buddusò e Bitti prima, e poi, come servo pastore capraro, in quelle fra Dorgali e la spiaggia di Cala Luna.
In questi anni, molto probabilmente, compose i versi migliori: canzoni di vario metro in dialetto logudorese, dove è rappresentato l'idilliaco mondo pastorale, secondo i gusti dominanti nella cultura letteraria italiana del Settecento.
Tra i componimenti del Cubeddu non incentrati sulla tematica amorosa o pastorale, emerge la favola Su leone e s'ainu. La sua poesia è ricca di echi della poesia moraleggiante classica e della tradizione cristiana degli exempla.
Anche Gavino Pes, di Tempio, apparteneva all’ordine degli Scolopi, ma ciò non gli impedì d’essere, un poeta principalmente attratto dalla tematica amorosa.
La sua opera manifesta una notevole abilità letteraria, peraltro riconosciuta dai suoi conterranei presso i quali godette di chiara fama. Significativo lo stretto rapporto fra il poeta e la società gallurese: Pes è considerato il capostipite della poesia colta in dialetto gallurese.
La sua lingua poetica è sorretta da una vasta cultura letteraria che spazia dai classici latini e greci ai classici della lirica italiana fino ai contemporanei Meli, Rolli, Zappi e Frugoni. Attraverso il magistero dell’Arcadia, la lingua poetica sarda, che allora andava rifondandosi per ciò che attiene al logudorese, ma che aveva solo una tradizione autenticamente popolare per quel che riguarda il gallurese, riuscì ad acquisire profondità di analisi e di capacità evocative, sia sul versante emozionale che su quello morale, certamente inedite.
Cagliaritano era Efisio Pintor Sirigu, avvocato e autore di componimenti in sardo campidanese che lo presentano come poeta satirico. La sua poesia in sardo campidanese (scrisse anche versi in italiano, in latino ) è un esercizio aristocratico, giocato sul versante di un umorismo caustico spesso a sfondo sessuale, svolto da un ricco professionista, quale egli era, in forme linguisticamente e tematicamente popolareggianti.
Sul valore letterario dei componimenti di Pintor Sirigu concordano praticamente tutti i critici.
Meno benevolo il giudizio sull’uomo, sul quale si stende un’ombra che riguarda il suo comportamento rispetto a Angioy, di cui fu prima seguace e poi nemico, incaricato della terribile repressione di Bono.
Il Settecento
Francesco Ignazio Mannu
L’azione dei didascalici sardi, la loro riflessione e le opere che composero rappresentano il fecondo avvio di una prospettiva di scrittura, in italiano e in sardo, che racchiude speranze politiche e si alimenta nell’amore per la patria sarda.
La loro opera rappresenta lo sforzo compiuto per dare alla Sardegna l’opportunità di liberarsi dall’arretratezza e dall’isolamento culturale e commerciale.
L’inno Su patriotu sardu a sos feudatarios di Francesco Ignazio Mannu si colloca fra quegli scritti di propaganda autonomistica e antifeudale che ebbero diffusione in Sardegna sul finire del secolo e particolarmente nel triennio rivoluzionario 1793-96.

L’inno fu pubblicato in Corsica nel 1794 e da lì si diffuse in Sardegna interpretando un sentimento che riuniva in una comune speranza le diverse classi sociali sarde.
Scritto in logudorese, l’inno si compone di 47 strofe formate da otto versi ottonari, e, sotto il profilo linguistico, si articola su due livelli, uno alto e uno popolare.
Variamente giudicato per le qualità stilistiche, Su patriottu sardu, che è stato chiamato la Marsigliese sarda, appartiene a quel vasto genere innografico ispirato dall’amore per la giustizia e il riscatto degli umili e degli oppressi che si nutre di ideali illuminati e umanitari.
Qui l’inno ha il ritmo di un canto popolare efficace e coinvolgente, la forza di una poesia popolare capace di attraversare il tempo e di rappresentare, nell’Ottocento, le aspirazioni di coloro che sognavano una patria sarda o, nel Novecento, le speranze di quanti combattevano battaglie politiche e sociali.
L’inno non è sardo solo nella lingua, ma anche nel repertorio concettuale e simbolico che utilizza, eppure è nel contempo un esplicito veicolo di cultura democratica d’oltralpe, è cioè un primo esempio di discorso altrui divenuto autenticamente discorso proprio. Forse per il peso sociale del suo pubblico
piccoli e medi proprietari, contadini, borghesi Su patriotu sardu a sos feudatarios è rimasto un caso isolato di testo politico-propagandistico di successo. Quanto più la classe dirigente isolana si integrerà in quella italiana, tanto più il sardo perderà la sua capacità e possibilità di essere lingua della polemica e della competizione politica.

Particolarmente avanzata per il periodo è la posizione dell’opuscolo Achille della sarda liberazione, composto durante i moti del 1793-96, che mostra appieno l’influsso dell’esperienza francese e delle concezioni politiche europee più avanzate.
Il Settecento
La letteratura didascalica
Nella seconda metà del Settecento, sulla scia dell’illuminismo europeo, prevale tra gli intellettuali sardi il sentimento della speranza e si sente forte la necessità di armarsi in nome del desiderio di rinascita.
Nell’isola come nel resto d’Europa prende avvio un periodo di profondo rinnovamento. La letteratura didascalica è quella che meglio ne rappresenta le idealità e cerca di trasferirle in prose e versi che si misurano con problemi stilistici e intenzionalità artistiche
 
Tra i poeti didascalici spiccano in particolare due figure: quelle dell’algherese Domenico Simon (1758-1829) e del cagliaritano Giuseppe Cossu (1739-1811). Quest’ultimo divenne nel 1767 Segretario della Giunta dei monti frumentari, e nel 1770 Censore generale.
Nel 1783 nacquero contemporaneamente i Monti di Soccorso e l’Azienda delle strade e ponti, strumenti dell’innovazione della Sardegna, nei quali Cossu ebbe un ruolo notevole.
Domenico Simon, allievo di Francesco Gemelli (uno dei professori arrivati nell’Isola per innovare gli studi, autore di un discusso saggio sull’agricoltura sarda, il Rifiorimento della Sardegna a cui rispose il sassarese Andrea Manca dell’Arca (1716-1796) con la sua Agricoltura di Sardegna (1780), fu aiutante del Cossu come vice-censore generale dei Monti granatici.
Cossu e Simon sono forse coloro che più di altri aderirono anche politicamente alle nuove idee illuministiche e all’esigenza di una razionalizzazione del sistema istituzionale, economico e sociale della Sardegna. Furono però fortemente inibiti dall’ottusità e dall’autoritarismo della corte sabauda.
Il Settecento
La letteratura didascalica
Il tema della coltivazione della terra diviene centrale in molte opere del periodo, che vede una notevole fioritura della letteratura didascalica.
Tra queste le opere del Carboni, del Purqueddu, del Simon, del Valle, del Cossu e del Manca dell’Arca.
Caratteristica comune era il desiderio di riscattare la Sardegna dall’infelice condizione nella quale versa, ricercando nella personale capacità progettuale la via del riscatto.
Il fenomeno si inserisce in un contesto sociale e culturale in cui si diffonde una produzione manualistica, vere e proprie istruzioni per l’uso, che costituiscono il retroterra indispensabile per spiegare lo sviluppo della più elaborata scrittura didascalica.
Il fiorente filone didascalico, in prosa e in versi, testimonia l’adesione all’ideale illuministico della pubblica felicità, che passa attraverso il fondamentale diritto alla conoscenza.
Per il raggiungimento di un simile obiettivo, sono chiamati ad operare tutti gli uomini di lettere. Si cerca di elaborare uno stile nuovo, che attragga il lettore per guidarlo alla totale conoscenza della materia.
Dallo studio e dalla riflessione sulla realtà sarda emergono le cause dei mali e i possibili rimedi: sono compilati saggi, memorie e relazioni.
Non manca il fondamentale contributo del clero, attraverso le omelie o le lettere pastorali tese ad informare la popolazione sulle nuove leggi o a spiegare come applicarle.
Numerosi ecclesiastici, dal vescovo di Cagliari fino ad alcuni parroci di piccoli villaggi, ebbero un ruolo fondamentale nell’informare le popolazioni sulle nuove leggi, nello spiegare come applicarle.
Il Settecento
Andrea Manca dell’Arca
L’agricoltura era argomento privilegiato sia dagli intellettuali sardi che dai loro governanti piemontesi.
Il trattato Agricoltura di Sardegna di Andrea Manca dell’Arca è la prima opera che affronta in maniera compiuta la problematica relativa alla pratica agricola in Sardegna.
L’opera si distingue per:
  • l’informazione tecnica ampia e precisa
  • una visione globale dei problemi isolani
  • la formulazione di un progetto complessivo
 
L’Agricoltura di Sardegna si organizza in varie parti dedicate alle diverse specializzazioni dell’attività agraria:
  • il grano
  • la vite
  • gli alberi e gli arbusti
  • le colture orticole
  • l’allevamento del bestiame
L’intendimento dell’autore è quello di offrire uno strumento operativo, il frutto dell’esperienza che gli deriva dal lungo contatto con il mondo rurale sardo e dalla consuetudine con le teorie degli scrittori antichi e moderni che si sono occupati d’agricoltura.
Il Settecento
Raimondo Valle e Pietro Leo
I tonni di Raimondo Valle non ha una vera finalità pedagogica, ma illustra i momenti più suggestivi della vita dei tonni (gli amori) e della loro morte (la mattanza).
Il suo inserimento fra gli autori didascalici non è comunque casuale: infatti, in alcune delle numerose note del testo poetico, il Valle identifica nella diversificazione e nella specializzazione delle attività economiche la via di salvezza dell’economia sarda.
Nel quadro del rinnovamento degli studi in atto nel Settecento sardo assume una posizione di tutto rilievo la figura di Pietro Leo.
La sua opera Di alcuni antichi pregiudizi sulla così detta Sarda intemperie, e sulla malattia conosciuta con questo nome è una vera e propria lezione tenuta agli studenti dell’università di Cagliari in cui l’autore utilizza tutti gli elementi professionali di cui dispone per disegnare un progetto di futuro per la sua terra, prodigandosi contro la più grave malattia che affligge l’isola e l’ignoranza medica che le consente di mietere un numero sempre maggiore di vittime.
L’opera sull’intemperie è la testimonianza del graduale affermarsi di un pensiero scientifico moderno, di un pensiero che trae sostanza dall’analisi scientifica e dalla riflessione filosofica.
L’intera biografia del Leo è una conferma di questa tensione di ricerca che non va disgiunta da una marcata passione civile: lo scienziato, il medico, l’educatore e il politico capace di disegnare, partendo dagli elementi professionali di cui dispone, un progetto di futuro per la sua terra.
In lui contemporaneamente coesistono e si integrano in una figura di scienziato ancora in gran parte da scoprire ma che già si mostra inserita in quel mondo di cultura e di progettualità politica al quale appartengono i letterati dei quali ci stiamo occupando.
Il Settecento
Francesco Carboni
Francesco Carboni, ritenuto il più grande poeta della letteratura sarda, parla invece di malaria nell’opera De Sardoa intemperie.
Sacerdote gesuita, dopo la soppressione dell’ordine fu docente dell’Università di Cagliari. Seguace dell’Angioy, conobbe la lingua e la letteratura latina come pochi altri nella sua epoca, e fu notevolmente apprezzato dal mondo culturale italiano.
La sua produzione comprende, diversi scritti didascalici, tra i quali La coltivazione della rosa (1776) e il De corallis (1779).
Certo, la sua attività di poeta didascalico non è comparabile, sul piano dei contenuti, con quella di Cossu o di Purqueddu. Né egli mira a un pubblico popolare da guidare nella progettazione di un futuro di riscatto.
Carboni è un letterato nel senso pieno dell’espressione, un dotto, un latinista conosciuto e stimato che intrattiene relazione con gli ambienti più esclusivi della cultura italiana.
La sua dottrina gli propone una visione del mondo alla quale è difficile sottrarsi, la concezione dell’attività letteraria come otium lo spinge a rinunciare a incarichi importanti e gli impedisce, del pari, di esprimere nella sua opera concezioni che pure sente di condividere e per le quali, sul piano politico, è pronto a rischiare.
Il Settecento
Gian Andrea Massala
Pur non essendo un poeta didascalico, Gian Andrea Massala si inserisce a pieno titolo nel clima dell’epoca perché con il suo Programma d’un giornale di varia letteratura ad uso de’ sardi (1807) porta avanti il suo proposito di dar vita ad un ulteriore elemento di crescita culturale, uno spazio appropriato al dibattito esistente in Sardegna.
I principi sui quali si fonda la letteratura didascalica sono richiamati da Massala per proporre uno strumento nuovo e più duttile per la diffusione delle idee e delle moderne concezioni scientifiche: il giornale letterario.
Con lui si manifesta l’esigenza di dar vita a un capace di offrire spazio appropriato al dibattito esistente in Sardegna.
Il Settecento
Giuseppe Cossu
Funzionario del governo piemontese, Giuseppe Cossu dedicò ogni energia al piano di riorganizzazione dei Monti predisposto dal conte Bogino. Con quello strumento il governo piemontese intendeva porre rimedio alla miseria dei contadini privi di capitali e quindi oppressi dall’usura, oltre che dal fisco.
I Monti, dotati i propri terreni sui quali gli agricoltori avrebbero potuto lavorare gratuitamente, disponevano anche delle scorte granarie da anticipare per la semina.
Ogni azione di Giuseppe Cossu, funzionario sabaudo, venne sorvegliata e guidata da Torino, censurata e respinta quando non conforme agli orientamenti impressi al processo di rifiorimento della corte piemontese.
Cossu nutriva infinita fiducia nella possibilità di contribuire attraverso una seria pianificazione economica, al risollevamento delle sorti dell’isola e dei suoi abitanti.
Quando si accorse che la coltura granaria non avrebbe potuto, da sola, determinare un radicale risanamento delle condizioni economiche dell’isola, egli pensò alla possibilità di rifiorire che veniva offerta a tutta l’Europa (quindi, anche alla Sardegna) dalla coltura del gelso, dall’allevamento dei bachi da seta e dalla sua produzione.
Per diffondere le sue idee scrive, in sardo campidanese, La coltivazione de’ gelsi e propagazione de’ filugelli in Sardegna, un vero e proprio manuale di istruzioni per gli agricoltori.
Il Settecento
Giuseppe Cossu
Cossu è il primo teorizzatore della sinergia: egli riteneva infatti che, per la creazione di una nuova società, il letterato, o comunque chiunque avesse avuto la possibilità di studiare o di viaggiare, dovesse collaborare con chi lavora i campi, aggiornandolo sulle nuove tecniche agricole per trarre così dalla terra il maggior rendimento possibile.
Della riflessione sui problemi economici della Sardegna, esercitata lungo tutto l’arco di un’esistenza operosa, rimangono molteplici documenti. In primo luogo gli scritti d’ufficio, le relazioni, le istruzioni sempre precise, dettagliate, non di rado ricche di riflessioni originali; e poi le numerose opere composte per la pubblicazione:
 
  • 1787, Discorso sopra i vantaggi che si possono trarre dalle pecore sarde
  • 1788-1789, La coltivazione dei gelsi
  • sempre nel 1789 la Istruzione olearia e i Pensieri sulla moneta papiracea, Del cotone arboreo e il Metodo per distruggere le cavallette
  • 1790, Saggio sul commercio della Sardegna
 
Cossu scrisse anche opere di carattere geografico sulle città di Cagliari e di Sassari e una Descrizione geografica della Sardegna.
A differenza di Purqueddu, Cossu rinuncia a scrivere in versi. È una scelta importante: prosa, anziché poesia, significa chiaramente la volontà di raggiungere, con uno strumento realmente accessibile, un pubblico non avvezzo alla lettura di componimenti letterari.
Al di là delle scarse qualità letterarie, il lavoro del Cossu si segnala per l’orizzonte ideale al cui interno si muove, per l’enorme fiducia nelle possibilità dell’educazione, della discussione che affronta tutti i problemi e dalla quale ogni dubbio viene sciolto; per la convinzione, tutta illuministica, che l’umanità sia giunta a una svolta: da quel punto in avanti i lumi rischiareranno la strada degli uomini che vanno verso la civiltà e il progresso.
Le opere del Cossu, come più in generale l’intera produzione didascalico-scientifica, testimoniano dello sforzo compiuto dalla classe dirigente e intellettuale sarda, nella seconda metà del Settecento, per strappare il paese all’arretratezza e all’isolamento.
Il Settecento
Il pensiero filosofico e politico
Il nome di Giovanni Maria Dettori,teologo e scrittore, è legato ad un’accesa disputa teologica. Sospettato di liberalismo, pagò con la perdita della cattedra la fedeltà alle sue convinzioni. Egli si meritò una lode del Gioberti nel Primato civile e morale degli italiani (VIII,5).

Un altro personaggio la cui fama varcò i confini della regione, è Domenico Alberto Azuni (1749-1827).
Egli è uno dei protagonisti del dibattito del periodo. Studioso di diritto, autore del Droit maritime de l’Europe (1805) e, tra l’altro, dell’Histoire géographique, politique et naturelle de la Sardaigne, Azuni appartiene alla generazione cresciuta nell’università rinnovata e la sua opera mostra tracce evidenti sia della qualità degli studi compiuti sia della vastità dell’orizzonte indagato. Benché si mantenga su posizioni di condanna rispetto alle punte più avanzate della filosofia contemporanea, nella sua opera traspare la sua volontà riformatrice, che è espressa come necessità di inserire la Sardegna nel contesto europeo attraverso la razionalizzazione dei vari settori della vita dello stato e il miglioramento dei rapporti economici e culturale tra i diversi stati.
Il Settecento si chiude placidamente tra melodrammi, arcadi e sarcasmi cittadini; si chiude, invece, coi tragici strascici di una rivoluzione fallita, durata quasi tre anni (1793-1796).
Nell’epoca rivoluzionaria tanto il sardo quanto l’italiano escono dagli argini controllati delle gerarchie linguistiche e dei generi letterari, per irrompere con una rinnovata vitalità nell’agone politico. Sono infatti, in italiano e in sardo, rispettivamente l’Achille della sarda rivoluzione e l’inno
 Su patriotu sardu a sos feudatarios di Francesco Ignazio Mannu entrambi elaborati negli ambienti democratici isolani, influenzati dalla cultura francese e dallo spirito rivoluzionario d’oltralpe.
Ma in italiano è anche La storia de’ torbidi, analisi storico-politica della rivoluzione sarda elaborata, a posteriori, negli ambienti reazionari vicini alla corte. A margine di queste opere, occorre citare l’Autobiografia di Vincenzo Sulis (1758-1834) – recentemente riedita da Giuseppe Marci – il capopopolo cagliaritano, protagonista degli anni 1793-1799, esiliato, dopo ventuno anni di carcere, nell’isola della Maddalena.
I testi riflettono ovviamente la diglossia vigente, ma anche mostrano quanto le strategie rivoluzionarie intendessero dirigere la propaganda sia verso le classi dirigenti
 nessun mutamento in Sardegna è mai partito dal basso  sia verso i contadini e i piccoli proprietari dei centri rurali, ostili alla vigenza del sistema feudale.
L'Ottocento
Eventi storici
L'Ottocento sardo si apre sotto il segno della dura repressione dei moti angioiani, del clima della restaurazione e della presenza della corte sabauda a Cagliari dal 1799 al 1816, la quale, se da un lato provocò un aumento del già oneroso carico fiscale gravante sui sardi, dall'altra vivacizzò la vita culturale cagliaritana, stimolando spettacoli e una letteratura encomiastica che oggi è difficile apprezzare per il suo carattere smaccatamente codino. D'altra parte è innegabile che continui in questo secolo il processo di lenta modernizzazione dell'Isola, attraverso la costruzione di una nuova rete viaria e ferroviaria, attraverso l'operato della Reale Società Agraria ed Economica.

Dopo esserne stati cacciati nel 1794, i piemontesi tornavano in Sardegna quando il processo di normalizzazione già si era concluso.
I moti antipiemontesi e antifeudali erano falliti, segnando la fine di ogni aspirazione autonomista. La restaurazione fu favorita dai nuovi rapporti con la monarchia della nobiltà sarda.
La situazione era triste:
  • carestie ricorrenti
  • oppressione fiscale
  • incursioni barbaresche frequenti
  • soggezione a nuove norme che violano consuetudini ben radicate
Tra i pochi segnali positivi:
  • la fondazione della Reale Società Agraria ed Economica
  • l’istituzione delle scuole primarie in tutti i villaggi (1823)
  • lo stabilimento delle condotte mediche nei centri minori (1827)
  • la diffusione, a partire dal 1828, della vaccinazione antivaiolo
  • il completamento della strada Carlo Felice che congiunge Cagliari con Porto Torres (1829)
Questa condizione spinge a riflettere sulle condizioni in cui versa la patria sarda, studiare i mali e i possibili rimedi, formulare proposte. Gli intellettuali sardi, stimolati anche dallo “sguardo esterno” sull’isola dei numerosi viaggiatori e osservatori, avviano un intenso lavoro di ricostruzione della storia della Sardegna.
L'Ottocento
L’interesse per la storia
L’interesse storico, che non era mai mancato, ora si fa più compiuto, avviando una nuova storiografia.
In Europa l’Ottocento è il secolo delle grandi opere sistematiche, delle monumentali storie nazionali e delle corpose storie della letteratura, che avevano la funzione di tracciare una sorta di autoritratto nel quale le singole nazioni potessero riconoscersi, specchiandosi in quelle caratteristiche che giudicavano essere la componente essenziale della loro immagine.
Il fenomeno riguarda anche la Sardegna, che esprime i nomi di Giuseppe Manno, di Pasquale Tola, di Pietro Martini, di Giovanni Spano, di Giovanni Siotto Pintor, di Vittorio Angius, di Ludovico e Faustino Cesare Baille.
I limiti di questi studi, secondo Manlio Brigaglia, sono:
  • l’utilizzo di una strumentazione scientifica ancora inadeguata
  • la mancanza della consapevolezza dell’esistenza di una questione sarda, che talvolta porta alla elaborazione di opere che hanno solo valore documentario.
Fu questo il secolo nel quale il ceto di intellettuali formatisi nel Settecento cominciò a svolgere un'intensa e proficua attività. D'altra parte la ricerca storico-erudita e quella letteraria, nelle quali molti si cimentarono, non furono per alcuni solo esiti "naturali" di processi formativi svoltisi nel clima illuministico e romantico. Furono anche àmbiti obbligati dell'impegno civile e culturale nel contesto repressivo della Restaurazione. Per altri, per quelli cioè più integrati nel sistema sabaudo, la ricerca storica fu anche un'ulteriore strumento di integrazione nazionale ed europea.
Due tensioni etiche si avvertono nell'intera produzione scientifica e letteraria del tempo:
  • da una parte la forte esigenza dell'integrazione reale nella cultura e nel sistema politico nazionale (ne è buon esempio la richiesta di abolizione del Regno di Sardegna e di fusione dell'Isola con gli stati di terraferma, avanzata dagli Stamenti isolani nel 1848);
  • dall'altra, sull'onda dello storicismo romantico, l'ansia di una reale e puntuale conoscenza della Sardegna e della sua storia. Si ricordi, per esempio, che le prime carte geografiche non falsificate per compiacere i sovrani (ossia senza che vi fossero indicate come esistenti le infrastrutture semplicemente programmate dalla corona) sono proprio di questo secolo, come pure la realizzazione del catasto.
L'Ottocento
Letteratura in sardo e letteratura in italiano
La spinta all’integrazione spiega anche i rapporti tra la letteratura in lingua sarda e quella in lingua italiana.
Intanto si registra una specializzazione sul fronte dei generi:
  • il sardo per la poesia (più diffusa nel mondo rurale e diretta ad un pubblico cantonale e più vicino all’area di appartenenza del poeta)
  • l’italiano per la prosa (prerogativa dei poli urbani)
Nel mondo rurale cominciano ad affermarsi come autori, oltre ai religiosi, i borghesi e i popolani.
Dal punto di vista del linguaggio artistico e letterario il Neoclassicismo di importazione piemontese tende ad assolvere un compito unificante della società sarda con quella continentale, con contrassegni di neutralità politica.
I maggiori centri sardi cedono inizialmente a questa sollecitazione. Ma saranno proprio gli artisti, i pittori e soprattutto i poeti, a farsi promotori di una riappropriazione critica dellla propria storia e della propria lingua.
Entrano in tensione dialettica, non sempre criticamente consapevole, due tendenze:
  • la prima tesa a salvaguardare l'autenticità e l'originalità della tradizione isolana che trovò nel paesaggio la migliore metafora ideologica;
  • la seconda, difesa dai ceti urbani, che spinse nella direzione dell'integrazione e dell'equiparazione della Sardegna nell'orizzonte nazionale ed europeo, avvertito come orizzonte di civiltà e modernità al quale potevano e dovevano essere sacrificate alcune peculiarità della Sardegna perché arcaiche e ostili ontologicamente al progresso e al mutamento.
L'Ottocento
La storiografia e l’indagine sulla lingua
Nel clima di grande interesse per la storia mosso dal bisogno di ricostruire e interpretare la vita di una terra, si inserisce l’opera degli storici dell’Ottocento.
Le grandi figure che caratterizzano il secolo sono:
L'Ottocento
Giuseppe Manno
Con la Storia di Sardegna (pubblicata fra il 1825 e il 1827) e con la successiva Storia moderna della Sardegna dall’anno 1773 al 1799 (1842), Giuseppe Manno può essere considerato il fondatore della storiografia sarda moderna. La sua opera risente di una visione politica del tutto ossequiente nei confronti del sovrano sabaudo: caratteristica che influisce in termini negativi sul racconto storico.
Dopo essersi formato ad Alghero, sua città natale, si recò a Cagliari dove si laureò in utroque iure e ricoprì diversi incarichi presso la Reale udienza.
Durante il soggiorno a Cagliari della corte sabauda entrò in contatto con il duca del Genevese, futuro re Carlo Felice, di cui fu segretario privato e attraverso il quale entrò in contatto e si affermò nell'ambiente torinese. Dopo la Restaurazione si trasferì nel capoluogo piemontese. Fu segretario per gli affari di Sardegna (1817), ministro per gli affari interni per la Sardegna (1821), consigliere della Corona e consigliere nel Supremo consiglio di Sardegna (1823).Carlo Alberto lo nominò barone. Nel 1847 divenne Presidente del Senato piemontese e nel 1855 rifiutò la nomina a Presidente del Consiglio. Scrisse la Storia della Sardegna, in quattro volumi, pubblicata a Torino nel triennio 1825-'27, che ricostruisce la storia dell'Isola dai primi mitici abitatori fino al 1773.
Per i secoli precedenti il dominio sabaudo, Manno attinge largamente, rielaborandoli, agli storici rinascimentali e seicenteschi che lo avevano preceduto. Per il periodo sabaudo, invece, attinge direttamente a fonti ad altri sconosciute o pressoché inaccessibili.
Egli esalta i momenti di prossimità della storia dell'isola alle vicende politiche italiane e censura i momenti di inclusione della Sardegna nell'orbita ispanica. È un'impostazione che farà scuola e attraverso la quale passerà l'esaltazione romantica dell'età giudicale e la condanna dell'età aragonese e spagnola. In questo quadro, l'età sabauda è ovviamente celebrata come un rinnovato ingresso della Sardegna nella civiltà e nel progresso. Nel 1852 pubblicò la Storia moderna della Sardegna dall'anno 1733 al 1799, ricostruzione storica delle vicende rivoluzionarie sarde, condotta dal punto di vista di un conservatore, quale egli era, ma dalla quale traspare anche una naturale tendenza etica del Manno a ritenere la lotta politica fortemente motivata sul piano ideale come un fatto sovversivo per l'ordine e la giustizia. L'immagine che egli ci restituisce di Angioy e della sua gente è sì rispettosa del valore dell'uomo, ma totalmente incapace di comprenderne la politica.
L'Ottocento
Pasquale Tola
Pasquale Tola è l’autore del Dizionario biografico degli uomini illustri di Sardegna e del Codex diplomaticus Sardiniae (1861-1868).
Il Dizionario nasce dal bisogno di confutare le accuse pronunciate da quanti chiamarono la Sardegna "barbara e inculta", per lo più senza conoscerla.
Nonostante la tendenza di Tola ad ammirare tutto quanto è sardo, il Dizionario è considerato ancora oggi un'insostituibile fonte di ricerca per gli storici.
Il Codex diplomaticus Sardiniae è invece la prima colossale raccolta delle fonti della storia isolana.
Tola, il cui fratello Efisio fu fucilato come mazziniano a Chambery nel 1833, fu certamente sorretto da un rigore etico notevole che lo rese, rispetto al Manno, più acuto nelle analisi degli uomini e delle vicende.
Sassarese, magistrato, Tola fu consigliere della Corte d'Appello e Preside dell'Università di Sassari.
Fu ingiustamente destituito da entrambe le cariche per ragioni politiche (infuriava la polemica tra liberali e conservatori). Con lui, più che col Barone Manno, i sardi hanno contratto un debito di riconoscenza per aver egli composto il Codex Diplomaticus Sardiniae, a tuttoggi l'unico repertorio di fonti storiche della Sardegna, in due volumi, giacché il terzo giace ancora manoscritto nella Biblioteca dell'Università di Sassari.
L'Ottocento
Martini e Siotto Pintor
Un tentativo analogo a quello di Tola fece Pietro Martini con la sua Biografia sarda, ma si limitò a sole 159 schede basate quasi esclusivamente sulle fonti reperibili a Cagliari. Per il resto, l'opera del Martini, fu segnata indelebilmente dall'essere egli la vera vittima dei Falsi d'Arborea; vi credette più di altri (si pensi allo Spano e all'Angius) e su quelle carte false spese l'ultimo ventennio della sua vita. Morì prima che Mommsen e gli altri membri di una commissione nominata dall'Accademia di Berlino li dichiarassero falsi.
Giovanni Siotto-Pintor, magistrato e deputato al Parlamento, si dedicò alla storiografia letteraria.
È autore della Storia letteraria di Sardegna (1843-1844), inficiata dal suo essere esageratamente filopiemontese (e antispagnolo).
Il suo italianismo lo porterà negli anni successivi a farsi tra i più convinti fautori della cosiddetta fusione, posizione che dovette poi rivedere per passare ad una linea autonomista. Nonostante i limiti, la Storia letteraria di Sardegna ha ancora il merito di offrire al lettore una straordinaria quantità di materiali, per altro organizzati con una certa sapienza.
L'Ottocento
Giovanni Spano
La passione per la storia sarda coinvolse anche il canonico Giovanni Spano, e lo indusse a farsi archeologo, storico, filosofo, linguista, letterato, numismatico, storico dell'arte, studioso di tradizioni popolari. Sorretto da una passione erudita più che guidato da un metodo rigoroso (non a caso incappò, sia pure marginalmente, nell'adesione all'autenticità dei Falsi d'Arborea), è pervenuto a scoperte che sono considerate fondamentali per l'archeologia sarda, tanto da esserne considerato l'iniziatore e il padre.
Il suo sterminato lavoro di studioso è stato in parte raccolto nel Bullettino archeologico sardo.
Ai suoi interessi di filologo e di linguista si devono la fondamentale Grammatica logudorese e il Vocabolario sardo-italiano. Quest'ultimo venne elaborato non attraverso un'inchiesta linguistica sul campo, ma attraverso un'intensa attività epistolare con i parroci dei vari paesi che venivano interrogati sul significato di un termine o sul nome di una determinata cosa nella loro area. Ciò spiega perché il dizionario dello Spano sia povero di fraseologia.
Un suo libretto, pubblicato a puntate da Enrico Costa sulla Stella di Sardegna meriterebbe ancora oggi un'attenta lettura. Si tratta dell'Iniziazione ai miei studi, una sorta di biografia intellettuale dalle prime scuole fino agli studi universitari. Vi si trova la dialettica, tragica e purtroppo paradigmatica per tanti sardi, tra la cultura ufficiale dello Stato e quella di appartenenza appresa nella famiglia e nel proprio ambiente. Come pure si ha un saggio della pedagogia della sferza con cui in pieno Ottocento si pretendeva di guidare l'apprendimento e l'educazione.
L'Ottocento
Raimondo Vincenzo Porru
Di gran lunga superiore per progetto e realizzazione a quello dello Spano fu il Nou dizionariu sardu-italianu di Raimondo Vincenzo Porru, pubblicato nel 1832.
Insegnante, Porru fu anche assistente nella Biblioteca Universitaria di Cagliari e Prefetto del Collegio di Filosofia e belle arti dell'Ateneo Cagliaritano.
Il suo dizionario nasce da competenze linguistiche più raffinate di quelle dello Spano, da un'indagine sul campo durata venticinque anni e che fu preceduta dal Saggio di grammatica del dialetto sardo meridionale pubblicato nel 1811. La ricchezza di fraseologia e di esemplificazione del dizionario del Porru furono elogiate anche dal maestro degli studi di linguistica sarda, Max Leopold Wagner.
Rientrano in un orientamento teso al recupero della storia e della storia culturale anche le ricerche di Ludovico Baille e del fratello Faustino Cesare, di Salvator Angelo De Castro, di Pietro Amat di San Filippo e di Filippo Vivanet.
Nei primi decenni del secolo il bisogno di conoscenza cominciava a manifestarsi vigorosamente anche nell’indagine scientifica e nella compilazione dei dizionari della lingua sarda.
L'Ottocento
Il dibattito politico
Il panorama della Sardegna nella prima metà dell’Ottocento è desolante a causa di diversi fattori, quali:
  • incursioni barbaresche
  • mancanza di porti e precarietà delle comunicazioni interne
  • malaria, spopolamento delle campagne
  • inadeguatezza dei mezzi di trasporto
  • devastazioni derivanti dagli incendi e perdita del manto forestale
  • pressione della pastorizia, agricoltura in bilico tra arcaismi e innovazioni
  • complessità delle situazioni che si determinano con l’abolizione del feudalesimo e l’introduzione della proprietà perfetta della terra
La perfetta fusione del 1847 sembra aggravare questo quadro generale, dato che annulla i già instabili assetti costituzionali. Nonostante questa grave situazione, e forse proprio per reazione ad essa, si manifesta una notevole energia intellettuale e cresce un dibattito si esprime soprattutto sulle questioni filosofiche e giuridiche, politiche e istituzionali, talvolta con preciso riferimento alla tematica sarda, talaltra su piani speculativi più ampi e, per così dire, universali.
L'Ottocento
Asproni e Tuveri
In seguito alla fusione cresce il dibattito sulle tematiche politiche e sugli assetti istituzionali, e prende nuovo vigore la progettazione delle ipotesi concernenti il rapporto fra la Sardegna e il Piemonte.
Sul piano nazionale, intanto, si sviluppava una riflessione sulla forma del nuovo stato, che aveva per protagonisti il Mazzini, il Cattaneo e il Gioberti.
In questa clima si colloca l’azione politica e l’opera di Giorgio Asproni e di Giovan Battista Tuveri, che hanno entrambi il merito di inserire le problematiche dell'isola all’interno di una prospettiva nazionale.
Giorgio Asproni deputato al Parlamento per molte legislature, schierato con la Sinistra, condivide i princìpi del federalismo autonomista di Cattaneo.
Asproni è autore di numerosi scritti politici e di un Diario che abbraccia gli anni compresi tra il 1855 e il 1876. Il Diario, oltre a rappresentare un importante documento autobiografico di un rappresentante del Parlamento, è una testimonianza diretta del periodo dell’unificazione, utile anche nella ricostruzione e comprensione della questione sarda.
Anche Giovanni Battista Tuveri, repubblicano e federalista, fu deputato al Parlamento e autore di scritti politici. Tra questi va principalmente ricordato Del diritto dell’uomo alla distruzione dei cattivi governi. Trattato teologico filosofico (1851), in cui espone la sua concezione dello stato federalista, dove il popolo è sovrano e dove la religione, tornata al cristianesimo evangelico, si concilia con la libertà.
L'Ottocento
L’attività pubblicistica
Nell’Ottocento si avvia una nuova stagione per il giornalismo sardo, che compie notevoli sforzi per affermare se stesso vincendo difficoltà e condizionamenti.
Un semplice elenco di titoli, di nomi di direttori e di collaboratori può dare un’idea dell’ampiezza e della tenacia che segnano le iniziative pubblicistiche.
Sul piano generale dell’informazione vanno ricordati:
  • il Giornale di Cagliari, (1827-1829) di Stanislao Caboni
  • l’Indicatore sardo (1832- 1852), diretto da Pietro Martini
  • la Biblioteca sarda (1838-1839), diretta da Vittorio Angius
  • il Promotore (1840), diretto da Francesco Sulis
  • la Gazzetta popolare (1850-1868)
  • la Gazzetta di Sardegna (1852)
  • L’Eco della Sardegna (1852) di Stefano Sampol Gandolfo
  • l’Avvisatore sardo (1862-1877)
  • il Corriere di Sardegna (1864-1879)
  • La Cronaca (1866-1871), rivista settimanale
  • Il Giornale di Sardegna, (1896-1899)
  • l’Avvenire di Sardegna (1871-1893)
Nei primi giornali e nelle prime riviste prevale il dibattito politico, ma non mancano anche segnalazioni, schede e spunti critici sulla letteratura contemporanea.
Si inizia con Il Giornale di Cagliari (1827-29) promosso dal magistrato cagliaritano Stanislao Caboni (1795-1880). Si prosegue col filogovernativo L'indicatore sardo (1832-52), promosso e diretto da Pietro Martini e dai suoi fratelli. A quest'ultimo rispose sul versante cosiddetto progressista Il Promotore (1840) (il nome non è casuale) promosso e diretto da Francesco Sulis, molto attento ai temi e ai problemi letterari, che venne entusiasticamente sostenuto dal Siotto Pintor, ma che dovette interrompere le sue pubblicazioni dopo l'ottavo numero.
Francesco Sulis, giurista, docente universitario, deputato di sinistra nel parlamento subalpino e poi in quello nazionale, fu anche autore dei Moti politici dell'isola di Sardegna. Narrazioni storiche (1858), testo attraverso il quale cominciò l'opera di revisione del giudizio negativo della rivoluzione angioiana.
Il quadro delle riviste della prima metà del secolo è completato dalla Biblioteca sarda (1838-39) diretta da Vittorio Angius e dalla Meteora (1842-45) diretto dal cagliaritano Gavino Nino (1813-86), che aveva tra i suoi redattori il canonico giobertiano, oristanese, Salvator Angelo De Castro (1817-80) e lo stesso Siotto Pintor.
Le riviste della seconda metà dell'Ottocento hanno meno vocazione politica e maggiore specializzazione culturale rispetto a quelle della prima metà del secolo.
Esse sono spesso il luogo di incontro dei letterati e degli uomini di cultura isolani con quelli della penisola, nel contesto di una maggiore integrazione e di partecipazione alla vita nazionale che caratterizza la fine del secolo. In questo senso il ruolo principale fu svolto dalla Farfalla di Angelo Sommaruga che ebbe vita breve (1876-77), ma che in Sardegna fu uno specchio delle avanguardie veriste e scapigliate nazionali. Con il trasferimento del suo fondatore da Cagliari a Milano (era impiegato della dogana) La Farfalla cessò le pubblicazioni.
Le altre due riviste di rilievo furono La stella di Sardegna (1875-76) diretta da Enrico Costa, che fu la più longeva, e Vita sarda che venne pubblicata a Cagliari dal 1891 al 1893. Entrambe furono sia palestre di confronto per i nuovi autori sardi che strumenti di formazione per i non numerosi lettori.
Tra i padri del giornalismo letterario isolano spiccano i nomi di:
  • Antonio Scano che diede vita a periodici quali La Gioventù sarda (1876), Vita di pensiero (1878), Serate letterarie (1882), L’avvenire di Sardegna della domenica (1884), Vita sarda (1891), su cui comparvero degli scritti giovanili di Grazia Deledda;
  • Enrico Costa, che fondò La Stella di Sardegna (1875-79 e poi 1885-86) e la diresse con Antonio Scano;
  • Luigi Falchi che diresse Nella terra dei nuraghes (1892-94), Sardegna artistica (1893) e, varcata la soglia del Novecento, La Sardegna letteraria (1902).
L'Ottocento
La poesia popolare
La riscoperta della Sardegna non ebbe come oggetto solo il suo territorio e la sua storia, ma anche le sue tradizioni e la poesia popolare.
L'interesse nasceva dalla convinzione che dallo studio di questo tipo di produzioni si potessero ricavare indicazioni utili per conoscere lo "spirito" del popolo, i suoi valori e le sue debolezze. In Sardegna quel che appare, almeno nel titolo, il primo esempio di raccolta di testi popolari è l'opera dell'avvocato sassarese, poi deputato di Cagliari, Giuseppe Pasella che pubblicò nel 1833 i Canti popolari della Sardegna. Pasella gravitava nell'ambiente conservatore dell'Indicatore sardo e ciò non è ininfluente rispetto alla valutazione della sua opera. Infatti egli non raccolse né testi provenienti dal popolo, né concepiti per essere divulgati tra i ceti medio bassi della società sarda.
Le poesie raccolte sono scritte in sardo e, in quanto tali, famose tra il popolo. La connotazione di "popolare" è attribuita a questi testi da Pasella per effetto di un fraintendimento circa la natura dei testi, indotto dalle modalità della comunicazione letteraria del tempo. La gran parte del popolo sardo era, infatti, analfabeta e parlava in sardo. Ovviamente, anche un testo fortemente influenzato dall'Arcadia, ricco di echi letterari, elaborato nel metro e nel ritmo, ma scritto in sardo, aveva un largo successo tra la gente, garantito però esclusivamente dal codice in cui era stato composto, non dalla sua origine o destinazione.
È, invece, di più chiara matrice popolare, per il tema trattato, per essere anonimo e per la sua evidente destinazione, un testo anonimo degli anni intorno al 1812, quando la Sardegna venne colpita da una terribile carestia. Il testo è la celebre Canzona di maistru Juanni, che narra in 1102 versi, in dialetto gallurese, dell'arrivo di Maistru Juanni, personificazione della fame, nella città di Tempio.
Giovanni Spano, Filippo Vivanet, Vittorio Angius, Vincenzo Brusco Onnis furono anche autori di componimenti in versi che comparvero sulla stampa periodica e talora vennero pubblicati in raccolte autonome. Si tratta, in genere, di una produzione minore che non aggiunge elementi significativi alla definizione di personalità più rilevanti in altri campi.
Degno di nota è il caso del canonico Giuseppe Luigi Schirru autore di un poema in ottave, Il Napoleone, del quale si conservano manoscritti i primi cinque canti e l’inizio del sesto. Schirru da un lato riprende una tradizione locale (già Francesco Carboni si era sentito ispirato dalle gesta napoleoniche), dall’altro manifesta adesione alle coeve tendenze della poesia neoclassica.
L'Ottocento
Melchiorre Murenu
È la produzione in lingua sarda a proporre l’aspetto più significativo dell’attività poetica ottocentesca, con un’ampia gamma di temi e situazioni poetiche e con un’ampia varietà linguistica e culturale.
I maggiori poeti della prima metà dell'Ottocento sono il macomerese Melchiorre Murenu (1803-54) e Diego Mele (1797-1861).
Melchiorre Murenu era analfabeta e cieco. Proveniva da una famiglia originariamente non povera, caduta poi in disgrazia con l'arresto del padre e la sua probabile morte in carcere. I contemporanei celebrarono la portentosa memoria di Melchiorre Murenu, certamente acuita dalla menomazione alla vista che lo indusse ad autoformarsi sui moduli e sui modelli proverbiali tipici della cultura orale. Il suo lessico risente notevolmente dell'ascolto attento delle omelie dei predicatori ed anche la vena moralistica che attraversa i suoi versi è di chiara matrice paraecclesiastica.
Cantò spesso il tema della povertà dovuta al sopruso del ricco, denunciando l'arbitrio con cui pochi privilegiati divenivano sempre più ricchi, e molti poveri sempre più poveri. Non andò, però, mai oltre la condanna morale, evitando di dare valenza politica o sociale ai suoi testi, nonostante l'avversione esplicita manifestata contro l'Editto delle chiudende del 1822.
È sua la quartina Tancas serradas a muru:
Tancas serradas a muru
fattas a s'afferra afferra;
chi su chelu fid in terra
l'haiant serradu puru.
Non manca, nelle sue poesie, il tema dello scherno del nemico, del dileggio del potente, costantemente additato al pubblico sotto mentite spoglie, o della satira campanilistica (sono notissimi i suoi versi contro Bosa). Murenu fu veramente per formazione e pubblico a cui si rivolse un poeta popolare. Venne ucciso e i suoi assassini rimasero impuniti.
L'Ottocento
Diego Mele
Diego Mele nacque a Bitti. Fu amico di Giovanni Spano. Di famiglia modesta, fu avviato agli studi di teologia e alla vita sacerdotale. Ritornato nel paese di origine, dovette andarsene per il clima insostenibile generato da alcuni suoi versi satirici.
Passò per essere favorevole ad una sorta di regime collettivo della proprietà contro la politica sabauda che in quegli anni incentivava la formazione della proprietà perfetta. Dopo un lungo esilio che lo portò ad Ozieri, e poi a Lodè e a Mamoiada, divenne parroco di Olzai, dove morì.
Il registro prevalente nei suoi testi è quello satirico, attraverso il quale egli dissimula l'indignazione per le ingiustizie sociali prodotte dalla legislazione sabauda. Fu per questo particolarmente popolare, ma i suoi testi, a differenza di quelli di Murenu, sono strutturati formalmente e tematicamente a partire da una solida formazione letteraria fondata sugli autori canonici del cursus studiorum del tempo.
L'Ottocento
La narrativa
La produzione narrativa ottocentesca ha un interesse assoluto, che va oltre il valore artistico delle opere, perché racchiude le attestazioni di un sentimento, di un atteggiamento mentale, di una forma dell’approccio culturale che sono, nel tempo più recente, la testimonianza del modo in cui i sardi percepiscono se stessi, valutano la storia passata della propria terra, interpretano il rapporto fra Sardegna e Piemonte, prima, fra Sardegna e Italia, dopo la conclusione del processo risorgimentale.
Nelle pagine dei romanzieri ottocenteschi si ritrova il segno, reso esplicito, di una vera e propria "rivoluzione spirituale". È come se, seguendo i tortuosi percorsi della storia, le esigenze particolari dei sardi avessero raggiunto quelle contemporaneamente sentite in molte altre parti dell’Europa: in primo luogo con il bisogno dal quale erano scaturite le indagini storiografiche nelle diverse nazioni europee, con le riflessioni che avevano portato a definire la categoria di popolo.
A questa soglia di conoscenza si affacciarono gli autori che vollero dedicarsi alla narrativa e, per lo più, scelsero la strada del romanzo storico. Questa scelta fu compiuta (oltre che per l’influsso del modello manzoniano) perché in quel genere i sardi videro una forma di espressione artistica capace di rappresentare i fatti di una storia patria intesa quale nodo dolente, materia di studio e di evocazione letteraria di un passato percepito come vivo e tale da segnare la coscienza contemporanea.
La narrativa sarda ottocentesca prende avvio con i brevi racconti storici di Gavino Nino (1807-86) e Salvatore Angelo De Castro (1817-80) pubblicati sulla rivista La Meteora. Entrambi questi autori sono attratti dalla figura di Eleonora d’Arborea alla quale dedicano il primo un melodramma in tre atti pubblicato a Cagliari nel 1868, il secondo una biografia che apparve a Oristano nel 1881. Ad un’altra figura femminile della storia sarda si ispira Vincenzo Brusco Onnis (1822-88) che compone un racconto intitolato Adelasia di Torres (1845).
L'Ottocento
Enrico Costa
Enrico Costa (1841-1909) occupa con la sua presenza, gran parte della fine dell'Ottocento.
La sua ricchezza di interessi culturali e letterari, la passione per la letteratura, l'arte, la storia e le tradizioni dell'Isola, nonché l'amore per la sua città sono i moventi di una produzione varia e vastissima, che comprende opere storiche e geografiche, studi sul folklore, pagine musicali, poesie, racconti e romanzi.
Le idealità dalle quali era ispirato sono spiegate nella Conclusione del romanzo Rosa Gambella, in cui il Costa dice d’aver voluto scrivere "un libro utile agli studiosi di memorie patrie", e spera d’aver "attirato l’attenzione dei sardi sui gravi e importanti avvenimenti che si volsero nell’isola".
Egli ritiene che la Sardegna non sia conosciuta e che l’immagine che ne viene diffusa sia spesso errata, distorta. Per porre rimedio a questo stato di cose, sostiene Costa, occorre studiarne la storia e diffonderne la conoscenza, anche attraverso i romanzi. Gli influssi del progetto letterario di Costa, per cui l’arte è messa al servizio della storia arriveranno fino all’opera di Grazia Deledda, che non a caso si dichiara "discepola" dello scrittore sassarese. Colpisce, in particolare, in Costa, il suo essere sempre in bilico tra il desiderio di offrire al lettore un’esatta documentazione di usi e costumi tipici e la vocazione del romanziere che l’informazione storica ed etnologica deve sciogliere nel tessuto narrativo.
Tra la sua opera vastissima vanno citate:
  • Guida racconto. Da Sassari a Cagliari (1902)
  • La bella di Cabras (1887)
  • Giovanni Tolu (1897)
  • Il muto di Gallura (1885)
La vocazione da romanziere si unisce sempre a quella di storico, antropologo, giornalista e apostolo di forte e tenace sardità. Singolare figura di erudito, di romanziere e di pittore, amico di poeti e di letterati, dal Farina al Satta, dalla Deledda a Pompeo Calvia, per citarne solo alcuni, deve la sua fama più duratura ai volumi di ricerche e di studi intitolati Sassari e dedicati alla sua città.
Essi costituiscono una documentazione preziosa per la storia di questa città di cui narra la cronaca con abbondanza di notizie e di informazioni di prima mano, ma anche con un gusto, mai revocato, per la narrazione curiosa e attenta a far rivivere ad ogni occasione lo spirito sornione del ciarliero mondo borghese e popolare.
Questa vocazione tutta sassarese alla sdrammatizzazione, all'ironia, alla battuta salace, non attenua la consapevolezza di Costa di vivere in un momento di grande trasformazione non solo del capoluogo turritano, ma anche di tutta la Sardegna. Lui e la sua rivista La stella di Sardegna furono un crocevia di relazioni culturali, di magistero estetico e letterario che, per quanto viziato da un certo eruditismo di provincia, giocò comunque un ruolo notevolissimo nell'accelerazione delle dinamiche culturali della seconda metà dell'Ottocento sardo.
L'Ottocento
Brundo e Bacaredda
Un ruolo simile, ma anche sensibilmente diverso e meno incisivo rispetto a quello che a Sassari svolse Enrico Costa, ebbe a Cagliari Carlo Brundo (1834-1904).
Avvocato, narratore di formazione manzoniana poi approdato al naturalismo, si interessò di tradizioni popolari e scrisse un'interessante opera intitolata Raccolta di tradizioni sarde (1869-73). In essa si manifesta una nuova sensibilità critica verso la tradizione culturale orale e verso il ruolo di coesione storica e sociale che essa svolgeva nella società isolana. È un testo utilissimo per comprendere con quali conoscenze e presupposti ideologici i narratori sardi si avvicinarono alle vicende storiche e alle caratteristiche antropologiche dell'Isola.
Sempre a Cagliari occorre segnalare la scarna, ma pregevole, produzione letteraria di Ottone Bacaredda (1849-1921), uomo politico di spicco della città, della quale fu sindaco per quasi trent'anni.
I suoi interessi letterari si iscrivono nel periodo precedente il suo impegno politico e furono segnati positivamente dal rapporto con Angelo Sommaruga. Quest'ultimo, ormai trasferitosi nella penisola, favorì la pubblicazione delle due opere del Bacaredda (Casa Corniola, 1880 e Bozzetti sardi, 1884) nella collana, prevalentemente di impostazione estetica naturalista, e da lui diretta, dei migliori scrittori del tempo.
L'Ottocento
Salvatore Farina
Lo scrittore certamente più importante e di spicco sul declinare del secolo e quello che rappresenta meglio il momento di completa integrazione degli intellettuali sardi nella società nazionale è Salvatore Farina (1846-1918).
Nativo di Sorso, seguì il padre magistrato quando venne trasferito in Piemonte a Casale Monferrato. Seguendo l'esempio paterno, si laureò a Pavia in Giurisprudenza nel 1868. Trasferitosi a Milano entrò in contatto con la Scapigliatura, in particolare con Tarchetti, di cui curò l'edizione postuma del romanzo Fosca. Diresse la Rivista minima e fu tra i fondatori del Corriere della Sera.
Scrisse oltre cinquanta romanzi e una sorta di lunga autobiografia (La mia giornata) ancor oggi utilissima per la ricostruzione del clima culturale della Milano di allora. Come scrittore godette di un largo successo oltre che in Italia anche in Germania. Tra i suoi romanzi più celebri Il tesoro di Donnina (1873), Capelli biondi (1876), Amore ha cent'occhi (1882) e, soprattutto, Mio figlio (1877-81).
Salvatore Farina ben rappresenta i ceti del nuovo Stato nazionale che si trovano incuneati tra nobiltà, grande borghesia e proletariato e con quest'ultimo finiscono per condividere la medesima condizione di ristrettezze economiche e di insicurezza sociale. Egli si fa interprete di quella fascia sociale a cui diede voce, meglio degli Scapigliati e dei Veristi, il De Amicis. Con la sua fiducia nelle istituzioni liberali propose modelli di laboriosità e di onestà, di dedizione alla famiglia e di sacrificio, valori oggi in disuso ma che, rivolgendosi a gran parte della società italiana, spiegano il successo dei suoi romanzi e la rapidità anche con cui venivano stampati e "consumati".
L'Ottocento
Satta, Uda e Falchi
Una funzione di forte raccordo tra la cultura sarda e quella italiana svolse anche Giacinto Satta (1851-1912) nato a Orosei e morto a Bosa, dopo una vita errabonda e avventurosa da bohémien in Italia e in Francia. Operò prevalentemente nell'ambiente sassarese e nuorese. Esordì come giornalista della Nuova Sardegna, ma fu anche pittore. Firmò, con lo pseudonimo di Dottor Pamfilo, alcuni romanzi storici (Il tesoro degli angioini, I misteri di Sassari) che prendevano come modello il romanzo francese d'appendice di Eugene Sue. La sua prosa è asciutta, avvincente, non ampollosa ed enfatica come è invece quella di molti romanzi storici sardi e non sardi dell'epoca. Fu forse il tramite, anche per la Deledda, della conoscenza della letteratura francese contemporanea.
Rispetto ai predecessori Satta esprime un agire letterario più raffinato che partecipa di una cultura europea, conosce le problematiche artistiche e specificamente letterarie del suo tempo. Per lui la storia è un incipit, un contesto, e il particolare momento in cui la vicenda è ambientata è un segnale. Poi la narrazione si sviluppa secondo logiche proprie, senza condizionamenti esterni, illustrativi o propagandistici di tipo sardista, ma piuttosto obbedendo a un modulo allora fecondo, quello del feuilleton, la maniera dei romanzi incentrati sui misteri di una città.
Analoga funzione di raccordo tra gli ambienti isolani e quelli peninsulari ed europei svolsero i fratelli Michele e Felice Uda, e soprattutto Luigi Falchi (1873-1940), sassarese, amico di Sebastiano Satta, di Pompeo Calvia e Grazia Deledda, il quale fondò la rivista Sardegna letteraria. Si trasferì a Roma, dove si laureò in giurisprudenza, e svolse un'intensa attività politica come consigliere comunale e come membro del gabinetto del ministro Francesco Cocco Ortu. Rientrato a Sassari, conseguì la libera docenza in letteratura italiana. La sua attività di critico letterario, condotta secondo una metodologia tipicamente positivista, lo portarono a cogliere gli aspetti sociologici e storici dell'attività letteraria. Fu uno dei maggiori supporti culturali dell'iniziativa editoriale dell'editore sassarese Giuseppe Dessì, il quale stampò, sotto la direzione appunto di Falchi, di Enrico Costa e di Antonio Scano, la prima collana di Scrittori sardi.
L'Ottocento
La letteratura in sardo
Rilevante è anche il ruolo degli autori che, anziché approdare all'italiano letterario, proseguirono nell'impegno di continuare la letteratura in lingua sarda, rafforzando la tradizione orale con l'uso scritto, non più per dare dignità al sardo (come avevano inteso fare il Madao e, in parte, lo stesso Spano), quanto per offrire alle comunità in cui erano inseriti, forme espressive e strumenti di mediazione e di interazione culturali più moderni. Tra questi autori spiccano le figure di Paolo Mossa, Pompeo Calvia e Giuseppe Mereu.
L'Ottocento
Paolo Mossa
Paolo Mossa (1821-92), bonorvese, di famiglia benestante, interruppe gli studi universitari a Sassari per sposarsi. La moglie morì pochi anni dopo le nozze ed egli si risposò con colei che celebrò nelle sue poesie col nome di Gisella. Rimase vedovo una seconda volta. Fu eletto consigliere provinciale nel 1861 e rieletto nelle successive competizioni elettorali. Scelse di vivere sempre a Bonorva nonostante l'agiatezza familiare, l'impegno politico e il prestigio culturale gli avrebbero consentito di trasferirsi in città. Ma l'orizzonte del paese, se è utile a contestualizzare alcuni suoi testi e a spiegare la sua tragica fine (venne assassinato probabilmente da alcuni banditi, poi catturati e condannati), non comprende certamente le ambizioni culturali che traspaiono dai suoi testi. Scelse il paese come suo pubblico, per scegliere tutti i paesi della Sardegna come suoi destinatari, ma le radici del suo discorso sono anche, e soprattutto per quel che riguarda la lingua, altrove.
Iniziò con la poesia di improvvisazione. Poi si rivolse al repertorio arcadico e settecentesco, ma anche direttamente a quello dei lirici latini, da Orazio a Ovidio a Catullo, per mediare e adottare insieme un repertorio di metri e di motivi più adatti e consoni alla sensibilità e alla cultura moderne. C'è una nota di Paolo Mossa in cui egli dichiara esplicitamente di prendere come modello Metastasio: "L'idea di questa canzone la ricavai da quella (famosa) del Trapassi, A Nice, non perché intendessi gareggiare con sì esimio poeta, ma per sperimentare se mai la lingua sarda fosse suscettibile a vestire concenti talmente patetici".
L'operazione che Mossa intende compiere è quella di verificare (egli dice testualmente di "sperimentare") la suscettibilità della lingua sarda a farsi portatrice di "concenti patetici", dove "patetici" allude ai modelli della sensibilità e del sentimento proposti dalla civiltà illuministica settecentesca e poi romantica, comunicata appunto dai concenti, cioè da significanti altamente musicali e melodici cui si uniformano i ritmi e i metri delle strofe settecentesche che costituiscono poi il tessuto della lingua poetica al quale si affida anche la comunicazione letteraria romantica del sentimento. Il codice linguistico sardo, dunque, media nell'orizzonte culturale del mondo rurale isolano, un orizzonte estetico europeo. La poesia di Mossa rifà, dunque, in lingua propria (il sardo) un discorso altrui, che proprio perché mediato non solo linguisticamente (come faceva il Madao) ma anche culturalmente, riesce a diventare progresso culturale per tutti coloro che condividono l'orizzonte antropologico che sta dietro la lingua sarda.
L'Ottocento
Pompeo Calvia
Alla fine dell'Ottocento appartiene, in forma originalissima, anche la poesia di Pompeo Calvia (Sassari 1857-1919). Fu professore di disegno nel Convitto nazionale di Sassari e copista presso l'Archivio Comunale della stessa città. Collaborò a varie riviste e giornali di Sassari e dell'Isola. Con lo pseudonimo di Livio de Campo accettò che il Costa pubblicasse un suo romanzo storico, Rosa Quiteira, che narra la sfortunata vicenda della figlia di Leonardo de Alagon, prigioniera con i fratelli nel castello di Sassari dopo la battaglia di Macomer. La sua fama è legata soprattutto alla raccolta di poesie, prevalentemente sonetti, Sassari mannu. Visse l'atmosfera di fervore intellettuale che contraddistingueva la cultura sassarese in quel periodo e che aggregava allora, per ragioni di Università, di foro, di editoria, anche l'ambiente intellettuale di Nuoro. Sassari era poi il centro del movimento repubblicano e democratico dell'Isola, mentre nelle miniere del Sulcis cominciavano ad apparire i primi predicatori del socialismo e Nuoro aveva conosciuto, intorno al 1868, i moti di A su connottu.
Calvia cercò nel dialetto di Sassari i toni e i timbri di colore adatti a raccontare la crisi di crescita di una città che usciva da una economia e da una civiltà che erano rimaste immobili per quasi cinque secoli, mentre vedeva sorgere esigenze nuove che avrebbero cancellato il volto della vecchia Sassari. Anche il titolo è da intendersi come "Sassari antica", con le sue tradizioni e il suo colore locale. Egli sperimenta l'innesto sul sassarese dei procedimenti che Pascarella prima, e poi Trilussa, avevano applicato al romanesco.
Da Pascarella viene mediato il gusto dell'esplorazione del mondo vernacolo con le sue strade, i suoi vicoli, i quartieri popolari, gli interni di case, di caffè, di osterie, il mondo delle feste popolari e delle processioni e di taluni personaggi plebei di ingegno e di lingua pronta. Nel delineare questi personaggi l'humour del poeta trova nell'ultima terzina, proprio come in Trilussa nella conclusione del sonetto, la soluzione, piuttosto umoristica che comica, di una situazione umana osservata con spirito disincantato e bonario. Lo stesso spirito venato di malinconia lo induce inoltre a rievocare con accenti teneramente patetici gli affetti familiari e la gioventù rapidamente trascorsa.
Nelle sue opere Calvia esprime una personalità individuale che consuona con le correnti culturali e letterarie contemporanee: in questo si distacca dalla tradizione ottocentesca. Egli sposta il centro dell’attenzione dai fatti d’arme e dalle speranze di vittoria verso il momento più raccolto della sofferenza che segue la sconfitta, mettendo a fuoco il dramma personale e sentimentale della giovane figlia di Leonardo Alagon.
Nella sua opera non mancano gli spunti politici e patriotici, in un amalgama talvolta ingenuo, ma anche interessante per i modi in cui sono rappresentati gli ambienti civili delle città sarde, e gli strati popolari cui viene assegnato il compito di interpretare gli autentici valori della sardità.
L'Ottocento
Peppinu Mereu
Peppino Mereu (1872-1901 circa), nato e vissuto a fasi alterne a Tonara, fu un poeta che seppe unire una ricca, consapevole e aggiornata cultura letteraria (conosceva e dominava la letteratura scapigliata e crepuscolare), col forte radicamento rurale e paesano rappresentato proprio della lingua sarda. Sarebbe però un errore ritenere che egli non abbia saputo conciliare la nascita in un ambiente rurale con la formazione nel contesto culturale cagliaritano (la sua prima raccolta venne pubblicata a Cagliari nel 1899 da Valdès con la prefazione di un laureando in medicina, tal Giovanni Sulis).
Non appare legittimo leggere sul versante esclusivamente biografico i temi dell'inquietudine, della precarietà della vita (era tisico), della malinconica nostalgia dei piccoli orizzonti affettivi del paese che caratterizzano i suoi testi. Non bisogna infatti mai dimenticare la lezione di Wagner sulle "metafore rustiche" del sardo, il quale appunto ricordò che il sardo è lingua poverissima di nomi astratti e che esprime i sentimenti, la lode e lo scherno con metafore e similitudini tratte col lessico rustico.
È quindi lo spirito della lingua a contestualizzare ogni discorso in un orizzonte paesano, sempre che non si voglia stravolgere il codice linguistico, come fecero i poeti arcadici, ingolfandolo di prestiti e di calcoli. Mereu, come Calvia, riuscì a svolgere un discorso modernissimo con una lingua arcaica, ossia riuscì ad attribuire dignità letteraria ad un codice nato e cresciuto nel contesto dell'oralità tipica delle società arcaiche e rurali.ali.ali.rissima di nomi astratti e che esprime i sentimenti, la lode e lo scherno con metafore e similitudini tratte col lessico rustico.
L'Ottocento
I poeti vernacoli
In un breve elenco di quelli che l’Alziator chiamava poeti vernacoli occorre citare anche:
  • Antonio Solinas di Nuoro (1870-1900)
  • Pasquale Dessanay di Nuoro (1869-1919), legato come Solinas alle modalità poetiche tradizionali, e aperto, come l’altro, alla conoscenza delle tendenze espresse dalla poesia contemporanea.
  • Diverso è il caso del già citato Paolo Mossa di Bonorva (1821-92) che mantiene un legame con lo stile arcadico.
In sardo compose anche una poetessa, Anna Maria Falchi Massidda (1824-73), autrice di sedici glossas e tre brevi componimenti che ebbero una circolazione orale e che mostrano l’assimilazione dell’opera di autori latini e italiani.


Il Novecento
Eventi storici
Alcuni eventi-simbolo segnano il secolo:
  • 3 settembre 1904: l’esercito uccide tre minatori a Buggerru. Conseguenza dell’eccidio fu la proclamazione del primo sciopero generale italiano: un evento in fin dei conti neanche troppo raro nella storia isolana aveva assunto valenza nazionale ed era divenuto rilevante anche sul piano della comunicazione.
  • anni 1915-1918: le imprese della Brigata Sassari.
  • 1921: la nascita del Partito Sardo d’Azione.
  • 1947-1950: la lotta contro la malaria. L’eradicazione della malaria cambia le condizioni di vita dei sardi e consente lo sviluppo di quelle attività (turistiche e industriali) prima improponibili e che, una volta praticabili determinano la diffusione di nuove conoscenze e rendono fondamentali gli scambi comunicativi.
Per l’isola il Novecento è il secolo in cui il ritmo del confronto e dello scambio col mondo cresce vertiginosamente. L’economia si trasforma. Cambiano gli stili di vita.
Il Novecento
Il dibattito politico
Il Novecento si apre con la Prima guerra mondiale e si chiude con l'approvazione da parte del Consiglio regionale della Sardegna della prima legge di tutela della lingua e della cultura sarde.
Nel mezzo sta il grande dibattito, sviluppatosi nel secondo dopoguerra, sulla modernizzazione dell'isola, sul suo riscatto da una condizione di arretratezza divenuta insostenibile, ma anche sul suo diritto all'identità e all'autonomia. Il vero nodo irrisolto del Novecento è proprio la mancata sintesi tra lo sviluppo, la modernità e l'innovazione da una parte, e l'identità, la tutela del territorio e la tradizione culturale della Sardegna dall'altra.
Non è un caso che molti dei letterati del Novecento siano stati anche uomini impegnati politicamente e nelle istituzioni.
D'altro canto, il senso di smacco che a fine secolo sembra connotare le esperienze, anche letterarie, più impegnate politicamente, non ha un corrispondente negli autori che, contestando il valore universale delle categorie politiche del partito e dello Stato, hanno indicato in un nuovo umanesimo la strada per recuperare la storia e guardare al futuro.
In questo quadro si inseriscono anche le diverse scelte linguistiche, tra italiano e sardo, con una gamma sempre più ampia di registri intermedi tra le due lingue. Nonostante queste contraddizioni, però, il Novecento è il secolo che più degli altri consente un'interpretazione unitaria della comunicazione letteraria che si è sviluppata nell'Isola, perché pur nella diversità delle prospettive ideologiche e dei codici linguistici utilizzati, vi è in tutti gli autori una coscienza sempre più vigile della peculiarità culturale del vivere e del pensare in Sardegna o a partire dalla Sardegna.
Il Novecento
Il dibattito letterario
La vera riforma letteraria che si compie nel Novecento nasce da una parte, il versante critico, dall'assunzione del problema del pubblico in modo diverso da come era stato considerato in età romantica e postromantica, dall'altra dalla critica, condotta dagli autori, all'omologazione estetica e linguistica che un frainteso nazionalismo e l'esasperato razionalismo positivista andavano imponendo in Europa.
Antonio Gramsci aveva iniziato le sue riflessioni sulla letteratura nazionale muovendo giustamente dalla questione principale, l'annosa questione del perché la letteratura non è popolare in Italia. Oggi prescindendo dalla nozione di nazional-popolare, il problema non può essere affrontato se non dal versante del plurilinguismo e del multiculturalismo.
Per coinvolgere nella letteratura un destinatario e un pubblico è necessario parlare la medesima lingua. In un processo comunicativo, non superficiale, occorre infatti che autore e pubblico abbiano in comune naturalmente il codice linguistico e possibilmente una buona fetta della medesima enciclopedia del sapere. In questo modo si possono far circolare modelli culturali tradizionali e nuovi per attuare un confronto che faccia crescere la società locale. Per questo la comunicazione letteraria tende ad essere plurilingue. Grosse fasce di pubblico sono state escluse per secoli dal "servizio" della comunicazione letteraria nella lingua ufficiale dello Stato e sono state servite, di fatto, da quella orale e scritta nelle lingue impiegate localmente, un patrimonio inesplorato ed un'esperienza inestimabile.
I problemi che questa letteratura plurilingue pone oggi non sono diversi da quelli che hanno creato e creano ancora le letterature nelle diverse lingue nazionali: i problemi già noti della traduzione con in più la coscienza della relativa intraducibilità del testo letterario e della necessità, per capire a fondo, di appropriarsi di quella lingua o di quel "dialetto". Si spiega così, da una parte, l'interesse crescente per le letterature regionali e, dall'altra, l'attenzione ai poeti dialettali, a quelli cioè che, invece di ricorrere al monolinguismo tradizionale della nostra lirica ricorrono ad una lingua "altra", da Noventa, a Pierro, da Marin a Pasolini, allo stesso Zanzotto.
Il Novecento
Il dibattito letterario
I poeti sardi perciò, quelli che avevano già maturato un'esperienza letteraria in versi, con procedimento analogo, hanno mediato modelli letterari e narrativi dalla contemporanea letteratura, italiana e straniera, e hanno sperimentato progressivamente il passaggio dagli ingenui tentativi dei modelli orali dei contos de foghile dei contos de tzilleri verso risultati di prosa scritta letterariamente efficaci. Dal racconto questi scrittori sono passati via via al romanzo.
Come la produzione di testi poetici in lingua sarda aveva dato nuovo impulso alla produzione e alla circolazione dei testi in italiano, altrettanto è avvenuto per quella in prosa. Queste due produzioni letterarie, quasi in sinergia, si sono reciprocamente avvantaggiate, perché sono aumentate le opzioni e quindi l'interesse e l'attenzione da parte di produttori e di fruitori che hanno fatto circolare, meglio e in maniera più rapida e capillare, questi prodotti, elevandone al tempo stesso il livello letterario e il tono culturale. La produzione di testi in lingua sarda perciò obbedisce ad una esigenza che non è solo quella di un recupero di autenticità di linguaggio poetico, ma anche di immissione di modelli estetici e culturali in una società rimasta, per quanto riguarda l'accettazione di modelli imposti mediante la lingua dello Stato, immobile e relativamente impermeabile.
La conquista rappresentata dalla produzione di romanzi in lingua sarda è quindi assai significativa e rappresenta un effettivo rinnovamento del codice narrativo che ha comportato un adeguamento sia della lingua letteraria sarda alla lingua letteraria italiana sia della lingua letteraria italiana a quella letteraria sarda.
Già la narrativa in lingua italiana aveva dovuto tenere conto dell' interferenza dei codici, verbali e non verbali, soggiacenti. Il problema era affiorato in periodo verista e aveva determinato un orientamento culturale verso l'esterno e di integrazione nella cultura del nuovo stato nazionale italiano. Un orientamento che era legittimato dalle lotte risorgimentali, ma che, durante e dopo il primo conflitto mondiale, aveva coinvolto tutte le popolazioni e aveva prodotto una presa di coscienza e un orientamento di ritorno alla propria appartenenza e alla propria identità.
Il Novecento
Grazia Deledda
Grazia Deledda si era dichiarata "discepola" di Enrico Costa. Solo di recente questa affermazione è stata considerata nel giusto valore, e si è cominciato a tenere nel giusto conto il peso della tradizione letteraria sarda nel percorso formativo della scrittrice.
Nata a Nuoro da famiglia agiata, mostra fin da piccola un grande amore per le lettere. Provvede da sola alla propria formazione culturale, dedicandosi alla lettura degli autori più disparati, da Enrico Costa fino ai grandi autori stranieri.
Nel 1892 inizia a collaborare con la Rivista di tradizioni popolari italiane diretta da Francesco de Gubernatis, mentre le sue prime opere ambientate in Sardegna vengono pubblicate su giornali e riviste, ottenendo un grande successo di pubblico e di critica.
Dopo il matrimonio con Palmiro Madesani, si trasferisce a Roma. È il periodo in cui scrive, tra gli altri: Elias Portolu (1903), Cenere (1904), L'edera (1906), Canne al vento (1913), Marianna Sirca (1915), La madre (1920).
Nel 1926 ottiene il Premio Nobel per la letteratura. Nei dieci anni successivi continua a scrivere, finché si ammala gravemente. Muore a Roma nel 1936. L’anno successivo è pubblicato il romanzo autobiografico Cosima.
Il Novecento
Il primo modello narrativo
Il modello narrativo della Deledda, che in un primo momento era apparso agli scrittori sardi, suoi contemporanei, congeniale, in realtà era difficilmente imitabile e ripetibile. In principio, nei suoi scritti, la distanza tra la sua cultura osservante e il mondo tradizionale sardo, in quanto cultura osservata, era minima giacché ella era largamente partecipe di quel mondo.
Il punto di vista culturale che utilizza in questa prima fase le è fornito dal folklorismo evasivo e mistificatorio di fine Ottocento, che la induce a produrre un'immagine della Sardegna arcaica e barbarica (quale in realtà era), ma compatibile col clima nazionale unitario e centralistico, tanto sotto il profilo politico-amministrativo, quanto sotto quello morale e estetico (si pensi a Tradizioni popolari di Nuoro, o ai Racconti sardi pubblicati nel 1894 dall'editore Dessì nella collana diretta da Enrico Costa e Luigi Falchi).
Oltre queste, le opere del suo apprendistato sono: Nell'azzurro (1890), Stella d'oriente (1891), Amore regale (1891), Fior di Sardegna (1892), Anime oneste (1895), La via del male (1896), testo con il quale la Deledda si allontana per la prima volta dalle romanticherie per ingenui e ovattati pubblici femminili, Il tesoro (1897), L'ospite (1897), Paesaggi sardi (1896), prima e unica raccolta di versi. Anche in questa fase, però, la Deledda non appare, come a lungo si è detto, un'ingenua fanciulla dotata di un forte fiuto per le mode letterarie, straordinariamente abile nell'istituire rapporti con le case editrici e con gli scrittori affermati, e che soddisfa le richieste di letteratura esotizzante esasperando o enfatizzando tradizioni e modi di vivere della società sarda.
Già nei primi testi della Deledda si intravede il centro tematico della sua vastissima produzione:
  • da una parte la dialettica, sociale, storica e personale, tra tradizione e innovazione,
  • dall'altra la dialettica, in primo luogo personale, ma di valore universale, tra desiderio e repressione, con quest'ultimo versante sempre occupato dalla cultura egemone che è anche la cultura del progresso e dell'ordine sociale.
In questa prima fase il clima culturale nuorese è ovviamente importante. La Deledda lo descrive in questo modo: "Nuoro è chiamata scherzosamente, dai giovani artisti sardi, l'Atene della Sardegna. Infatti, relativamente, è il paese più colto e battagliero dell'Isola. Abbiamo artisti, poeti, scrittori ed eruditi, giovani forti e gentili taluni dei quali fanno onore alla Sardegna e sono arrivati verso una relativa celebrità".
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Le opere della maturità
A Roma, dove si trasferisce nel 1898 col marito conosciuto in Sardegna, questo nucleo originario trova nuovi strumenti concettuali ed espressivi: influiscono su di lei gli autori russi (Dostoevskij, Tolstoj), ma anche D'Annunzio, Sue, Hugo, la Serao e Manzoni. Ciò spiega perché i suoi romanzi della maturità non possono essere iscritti nella tradizione verista, nonostante l'ambientazione regionale e l'orizzonte antropologico rustico che li caratterizza.
In essi giocano sempre un ruolo determinante psicologie tormentate, complesse, a volte svigorite, a volte passionali, la cui matrice è da una parte il Decadentismo e l'incertezza sull'unicità dell'io che lo caratterizzava, dall'altra la lotta - di origine tutta sarda - per l'identità, in un orizzonte storico che in entrambi i poli, quello tradizionale e quello moderno, sembra negare il diritto all'autenticità del desiderio (si pensi a Elias Portolu, 1903, Cenere, 1904, L'Edera, 1906, Canne al vento, 1913, Marianna Sirca, 1915).
La sua rappresentazione dell'Isola, di se stessa e della storia, diviene progressivamente il risultato di una visione estetica ed antropologica maturata anche nell'ambito della cultura europea della Secessione, ossia di quella cultura che recupera i linguaggi e le culture delle civiltà diverse (ma non per questo connotate come esotiche) da quella egemone dell'Europa occidentale, come luoghi dell'autenticità contro il conformismo, della vitalità contro l'esaurimento, della curiosità contro la sazietà, anche quando questi luoghi originari e originali sono occupati dal senso dell'incompiutezza, del dolore, della frustrazione, di cui sono vessilli la colpa, il rimorso, il desiderio frustrato dalla morte. A Roma intrattiene rapporti e promuove gli artisti definiti della "Secessione sarda" (Biasi e Figari) e da Roma influenza una generazione di scrittori sardi.
Il Novecento
Note critiche
  • Il percorso compiuto nella valutazione delle pagine deleddiane è stato lungo e difficile.
  • La Deledda è stata a lungo considerata una sorta di corpo estraneo rispetto alla Sardegna, e l’isola da lei descritta è stata a lungo giudicata come troppo lontana da lei, che l’avrebbe guardata con uno sguardo troppo esterno.
  • A lungo le è stato rimproverato di non essersi occupata della sua terra come avrebbe dovuto.
  • In realtà la Deledda è discepola di Costa ma rompe con una tradizione secolare di illustrazione della Sardegna, di milizia scrittoria sotto le bandiere della patria sarda, di ritratti a tutto tondo d’eroiche virtù dei condottieri e del popolo.
  • La scrittrice pone in primo piano la ragione narrativa e la segue sino alle estreme conseguenze, sino a dare un’immagine negativa della sua terra ogni qual volta quell’immagine sia funzionale al progetto narrativo.
  • A guardar bene le cose, sotto l’immobilità è possibile intravedere un movimento, sotto la rassegnazione una tensione forte, sotto l’atemporalità una dimensione storica.
  • Ma, soprattutto, difficilmente potremmo ancora sostenere che la Deledda guardi alla Sardegna con gli occhi "con cui la vedono i continentali": la guarda con occhi esperti e non indifferenti, decisa a trarne quanto è possibile sul piano degli impulsi narrativi e del richiamo di lettori lontani, ma raggiungibili attraverso la suggestione che la pagina letteraria trasmette.
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Sebastiano Satta
La poesia della fine dell'Ottocento e dei primi del Novecento è contrassegnata, nel bene e nel male, dall'opera di Sebastiano Satta (1867-1914).
Figlio di un avvocato, si laureò in giurisprudenza a Sassari ed esercitò l'attività forense a Nuoro, sua città natale. Durante il servizio militare, svolto a Bologna nel 1897-98, entrò in contatto con la poesia del Carducci da cui fu fortemente influenzato.
I primi versi vedono la luce nell'ambito delle pubblicazioni del circuito sassarese a cui era legato (Nella terra dei nuraghes. Versi di Sebastiano Satta, Pompeo Calvia e Luigi Falchi, Sassari, Dessì, 1893; Versi ribelli, Sassari , Gallizzi, 1893; Primo maggio, Sassari,Gallizzi, 1896). Le sue raccolte più importanti sono: Canti barbaricini, 1° ediz. La vita letteraria, Roma 1910 (con copertina di Francesco Ciusa), 2° ediz. Cagliari, Il Nuraghe, 1923. Canti del salto e della tanca, ediz. Postuma, Cagliari, Il Nuraghe, 1923. Fu socialista e, per certi versi, vate del mondo pastorale nuorese che, quando morì, gli rese un tributo notevole di affetto e di stima.
Coltiva un ideale poetico che stilisticamente si rifà tradizione classica e che interpreta un mondo di sentimenti popolari e drammatici legati alla tradizione sarda, alla denuncia dei mali sociali, alla speranza di riscatto.
Con le sue poesie più note (poi raccolte nei Canti barbaricini del 1910 e nei Canti del salto e della tanca, pubblicati postumi nel 1924) sempre più incarna la figura del poeta-vate, del rapsodo che dà voce a un intero popolo, ai suoi dolori e agli impulsi ribellistici, all’amore per l’ambiente naturale e antropologico e alla consapevolezza delle trasformazioni destinate a cambiare quel mondo verso il quale vanno i suoi sentimenti più intensi ma dal quale ricava anche acute inquietudini.
È bene tener presente, per comprendere l'opera di Satta, che se per gli altri stati italiani confluire nel Regno d'Italia non aveva comportato seri problemi di lingua, per la Sardegna (e per l'area rurale campana, nonché per quella calabro-sicula) le cose andarono diversamente: l'italiano era nell'Isola - dopo la rottura profonda con la cultura italiana maturata nel secolo XVII - privo di tradizione, in più in concorrenza con un'altra lingua, quella sarda, espressione di una cultura che non era riuscita a diventare nazione. Diciamo subito che lo slancio generoso dei ceti urbani sardi che aderirono nel complesso, anche in maniera critica al progetto unitario italiano, li indusse a ritenere che l'opera di reciproca integrazione degli italiani, e in particolare dei sardi con gli italiani, sarebbe avvenuta sull'onda declamatoria degli auspici e dei consensi risorgimentali.
In Satta la lingua poetica denunzia subito, almeno nelle raccolte iniziali, l'adesione a questo progetto linguistico, che era anche il progetto nazionale carducciano. Carducci e D'Annunzio, insieme con il suo professore di liceo, il Marradi, presiedono alle sue prime prove poetiche, mentre i primi tentativi di caratterizzazione del paesaggio vengono effettuati piuttosto utilizzando modelli linguistici e poetici pascoliani.
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Montanaru
Altra figura di poeta che occupa la prima parte del Novecento è Antioco Casula (1878-1957), detto Montanaru.
A differenza di Satta poetò esclusivamente in sardo. La sua biografia è un tipico esempio della mattanza di intelligenze che fece, allora, un sistema scolastico aperto nei primi livelli e di élites negli ultimi. Dopo le scuole del paese, frequentò il ginnasio a Cagliari e a Lanusei, per poi dover rinunciare agli studi per la povertà della sua famiglia. Si arruolò nei Carabinieri. Lasciata l'Arma, tornò al suo paese e ne fu l'ufficiale postale. Nel 1904 pubblicò la sua prima raccolta Boghes de Barbagia, cui seguirono nel 1922 Cantigos d'Ennargentu, nel 1933 Sos cantos de sa solitudine e Sa lantia nel 1950.
L'influenza di Satta e di Carducci sulla sua opera è forte e evidente, per cui in lui la scelta del sardo non è anche scelta critica dell'orizzonte antropologico della lingua. Egli non svolse in lingua propria un nuovo discorso poetico sardo, ma in sardo il discorso poetico di altri in cui si era identificato.
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L’eredità deleddiana e la Grande Guerra
Se da un lato il progressivo affermarsi della Deledda fu un forte stimolo per diversi autori ad avere orizzonti e obiettivi più ambiziosi di quelli locali e regionali, il più forte impulso ad un rinnovamento profondo della cultura sarda venne dai processi politici innescati dalla Grande Guerra.
Le guerre sono eventi tragici, crudeli, immorali, ma sono state spesso luogo di rapidissima maturazione per generazioni di giovani. Inoltre, la prima Guerra mondiale era stata preceduta da tutti quei movimenti culturali di reazione al positivismo tecnologico, alla logica inumana del capitalismo imperialista e colonialista del tempo, nei quali ampio spazio giocava tutto ciò che poteva essere o anticamera di una nuova modernità o vessillo e tramite di una palingenesi morale dell'Europa. Ciò spiega anche perché la guerra apparve come opportuna e addirittura salutare a tanti giovani intellettuali che poi vi morirono. La realtà del conflitto sfarinò queste posizioni estetizzanti e invece temprò le radici etiche da cui provenivano.
 Per i giovani sardi la Prima guerra mondiale ebbe un duplice significato:
  • da una parte la scoperta diffusa, non più limitata alla consapevolezza delle élites ricche e alfabetizzate, come era accaduto nell'Ottocento, di far parte di un sistema nazionale ed europeo;
  • dall'altra la consapevolezza dell'unità degli interessi dei sardi, da cui partì la grande esperienza del Partito Sardo d'Azione.
La Prima Guerra, aggravò i problemi dell’isola. Tuttavia quel momento, permettendo al popolo sardo di fare un’esperienza collettiva che usciva dal contesto isolano, favoriva, con il confronto, una maturazione politica e lo sviluppo di una forte coscienza identitaria.
Anche il movimento letterario manifesta questa nuova coscienza.
1932: esce Lo zufolo di
Salvatore Cambosu (1895-1962),
1938:
Emilio Lussu (1890-1975) pubblica Un anno sull’Altipiano,
1939: appare San Silvano di
Giuseppe Dessì (1909-1975).
Questo gruppo di scrittori è destinato a imprimere una svolta decisiva alla letteratura sarda, avviandola verso il cammino della contemporaneità.
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Salvatore Cambosu
Una figura a sé stante nella fervida stagione del primo e del secondo dopoguerra fu Salvatore Cambosu (1895-1962). Conseguì la maturità classica e il diploma di maestro elementare a Nuoro. Frequentò le università di Padova e di Roma, ma non si laureò. Nel primo dopoguerra insegnò nella scuola elementare del suo paese natio, Orotelli, e in altri centri del Nuorese. Aderì al fascismo. Si trasferì a Cagliari, dove stabilì al sua residenza abituale.
Nel 1932 pubblicò a Bologna il suo primo romanzo, Lo zufolo; due anni più tardi uscì a puntate su L'Unione sarda, Il carro. Questa prima produzione è originalissima nel panorama sardo. Non risente della tradizione naturalista, non mutua modelli deleddiani e utilizza una lingua tersa, nitida, di serena eleganza, non raggiunta nella sua colta semplicità da altri autori sardi.
Nel secondo dopoguerra Cambosu fece una scelta di campo culturale molto netta; optò per il meridionalismo riformista, di area laico-socialista, e collaborò, pubblicando racconti, recensioni e reportages, con il Politecnico di Vittorini, quindi con Nord e Sud di Francesco Compagna e con Il mondo di Pannunzio, oltre che costantemente con L'Unione sarda.
Nel 1954 pubblicò Miele amaro, insuperato romanzo antropologico sulla Sardegna sospesa allora tra l'arcaicità e la modernizzazione. Il testo non fu capito né dal centro, né dalla destra, né dalla sinistra politica perché era irriducibile ad un uso propagandistico e strettamente militante, ma ancora oggi rappresenta una sintesi equilibrata, saggia ed elegante del percorso auspicabile nella dialettica tra tradizione e innovazione: tutela dell'identità e apertura all'innovazione positiva.
Il romanzo propone un’idea di sardità non mitizzante ma ancorata alla realtà, capace di svolgere azione critica e propositiva, l’autoracconto dei sardi raggiunge una delle forme più consapevoli e di maggior spessore stilistico.
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Emilio Lussu
La figura che al termine della guerra giocherà un notevolissimo ruolo politico e che eserciterà una notevole influenza culturale fu Emilio Lussu (1890- 1975). Negli anni che vanno dal 1919 al 1926 la sua figura si accompagna a quella di Raimondo Carta Raspi (1893-1965), di Camillo Bellieni 1893-1975), di Egidio Pilia (1888-1938), di Francesco Fancello (1884-1970), di Filiberto Farci (1882-1965) e degli intellettuali che si stringono intorno all'esperienza del Partito sardo d'azione.
Negli anni successivi, la sua opposizione al fascismo, l'esilio patito a Lipari dove conobbe Carlo Rosselli, la fuga a Parigi, la partecipazione alla resistenza francese, l'attività politica nel movimento di "Giustizia e Libertà" (di cui fu fondatore), quindi il rientro in Italia, l'incarico ministeriale nei primi governi e la carriera parlamentare da senatore, furono tutti elementi che arricchirono straordianriamente la sua esperienza culturale e politica, e che accrebbero notevolmente il suo prestigio.
Tra le sue opere ve ne sono alcune altamente istruttive dal punto di vista politico (La Catena, 1929; Marcia su Roma e dintorni, 1933), altre che lo sono anche dal punto di vista letterario e morale. È questo il caso di Un anno sull'altipiano, 1938, grande e mirabile denuncia di quel "macello permanente" che è ogni guerra. È del 1967 Il cinghiale del diavolo, racconto sulla caccia che diviene pretesto per riepilogare le radici antropologiche dell'autore che, in quanto avvertite come autentiche, sono rievocate posivamente e ottimisticamente.
Con le sue opere, e in particolare con Un anno sull’altipiano e con Il cinghiale del diavolo formula la proposta della rappresentazione di una identità non ostentata ma implicita e necessaria, tale da costituire non un limite ma un autentico motore per la narrazione.
La Sardegna è alla base dell’esperienza e della riflessione storica e politica.
La figura di Emilio Lussu, mitico comandante militare, dirigente politico sardista, capo riconos ciuto e amato dal le genti sarde ha, d’altra parte, esercitato un ruolo determinante nella formazione di una vera e propria visione del mondo, nella costruzione della fisionomia identitaria della Sardegna fra le due guerre.
Ancorché dichiarasse quasi con sdegno di non appartenere "alla Repubblica delle Lettere", di fatto Lussu, ha interpretato il ruolo di vate con il suo messaggio politico e per la potente suggestione dei suoi racconti.
Il Novecento
Critica letteraria e ricerca storica
È intorno alla Fondazione Il Nuraghe di Raimondo Carta Raspi che si stringe la generazione degli scrittori tra le due guerre. Intorno alla rivista, alla libreria e alle pubblicazioni della Fondazione si respira, oltre che la cultura nazionalista che Camillo Bellieni si preoccupa di radicare in una scrupolosa ricerca storica (che non mancherà di dare i suoi frutti, posto che anche la scuola di Alberto Boscolo a Cagliari deriva da queste suggestioni culturali sardiste), anche un principio di ripresa del discorso critico letterario dopo le esperienze dell'Ottocento. Il miglior risultato di questo rinnovato interesse per la letteratura è La letteratura narrativa in Sardegna. Il romanzo e la novella (1926) di Egidio Pilia.
È anche questo rinnovato clima politico-culturale che favorisce la ripresa delle indagini sulla storia e la cultura sarda che già si erano registrati all'inizio del Novecento grazie all'opera di archeologi, antropologi, linguisti, storici delle religioni. Nel 1901, Enrico Besta aveva fondato la rivista Studi Sassaresi e, nel 1905, era uscito il primo numero dell'Archivio Storico Sardo. Nel 1909 erano comparsi i primi saggi del Pettazzoni sulla Religione primitiva in Sardegna. Nel primo decennio del 1900 i saggi di Max Leopold Wagner sul sardo. Né si può trascurare l'apporto al dibattito sulla questione sarda e sul problema dell'autonomia dato dalla rivista di Attilio Deffenu Sardegna, che uscì dal gennaio al giugno del 1914 e radunò le energie intellettuali più vive.
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Il Nuraghe e la questione sarda
Del nuovo clima politico e del grande patrimonio di studi che ne discende, come accennato, si sente erede la rivista Il Nuraghe (1923 - 1932), che diventa simbolo della nuova consapevolezza di popolo e della identità sarda in una nuova prospettiva autonomistica di integrazione nazionale e che promuove, con le sue pubblicazioni, la conoscenza della storia e della letteratura prodotta in Sardegna in lingua italiana e in lingua sarda.
Il dibattito sulla questione sarda, iniziato alla fine dell'Ottocento con le commissioni parlamentari di inchiesta e proseguito specialmente nel dopoguerra, assume ora una colorazione sardista sempre più marcata. A questo gruppo, che aveva in Lussu, in Bellieni, in Carta Raspi e in Fancello, gli esponenti di punta, si possono ascrivere Pietro Casu, Raimondo Lecis, Maria Delogu, Francesco Cucca, Filiberto Farci, Giovanni Antonio Mura, Lina Masala Lobina, Francesco Brundu (pseudonimo di Francesco Fancello) e, a margine, Giovanni Cau.
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Pietro Casu
Pietro Casu (1878-1954), sacerdote e teologo, intese rompere con la tradizione deleddiana del romanzo, sostituendo al "fatalismo" una concezione della vita e della storia fondata sulla fede e sulla fiducia in un rinnovamento di quella che veniva chiamata l'anima sarda. Notte sarda. Vecchia storia di Gallura (1910) doveva essere, nelle intenzioni dell'autore, il primo di una trilogia e rappresentava il fosco passato della nostra terra: gli altri volumi avrebbero avuto per titolo Aurora sarda e Meriggio sardo ed avrebbero descritto l'uno il presente, l'altro l'avvenire della Sardegna.
La sua vasta produzione in lingua italiana comprende inoltre i romanzi Ghermita al cuore (1920), Il voto (1921), Per la Sardegna (1922), La dura tappa (1923), Tra due crepuscoli (1924), Mal germe (1925), La voragine (1926), Santa vendetta (1929), Cuore veggente (1938).
In conformità con i propositi enunciati, la sua narrativa risponde ad una esigenza di sentimenti profondi, di passioni forti nutrite da modelli barbarici con i quali lottano sentimenti nobili e modelli dell'etica cristiana; la sua lingua è costruita sui moduli illustri della tradizione tardo-ottocentesca.
Una produzione, insomma, fortemente datata che ha contribuito a confermare l'immagine di una Sardegna di maniera, museo del folklore, nella quale sopravvivono tradizioni e riti arcaici. Pietro Casu fu studioso della lingua sarda e sostenitore della sua dignità e dell'urgenza di difenderla e tutelarla.
Ha tradotto la Divina Commedia (Sa Divina Cummedia), ha lavorato ad un Vocabolario Sardo Logudorese-Italiano (2002) ed ha scritto poesie che sono state raccolte nell'edizione postuma del 1978 col titolo di Cantones. Nelle Preigas (Prediche), anch'esse pubblicate postume nel 1978, cercò di trovare un punto d'incontro tra la tradizione religiosa locale e la prosa dell'eloquenza religiosa classica e moderna: le prediche, che egli teneva come predicatore ormai famoso, costituiscono uno dei pochi esempi di prosa in lingua sarda impiegata nel contesto tipico dell'oralità.
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Giovanni Antonio Mura
Quasi coetaneo di Casu fu Giovanni Antonio Mura (1879-1943), sacerdote, si laureò in teologia a Roma e vi risiedette a lungo per affinare la preparazione. Fu poi parroco di alcuni paesi della Sardegna. Strinse rapporti di amicizia con Sebastiano Satta, con Grazia Deledda e Attilio Deffenu. Fu poeta, narratore ed oratore sacro. La sua produzione narrativa, nutrita di umori religiosi, sociali e regionalistici, comprende Silvestria (1900), Stella mattutina (1901) e La tanca fiorita (1935). Le sue più importanti raccolte di versi, La fontana di Sichar (1901) e Gesù sull'Ortobene (1902), sono di ispirazione religiosa.
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Il progetto postdeleddiano
La straordinaria diffusione dell’opera della Deledda aveva favorito, in qualche modo, la nascita di una generazione postdeleddiana, formata da quegli scrittori che sentirono il bisogno di rompere con la maniera della scrittrice nuorese.
Occorre dire che il loro tentativo riguardò per lo più gli aspetti contenutistici, assai meno le forme espressive e, in particolare, le scelte linguistiche.
Rispetto alla Deledda che, a loro giudizio, aveva evocato una Sardegna statica, bloccata in un assetto sociale arcaico, costoro sentirono l’esigenza di descrivere una terra in movimento, capace di superare i vincoli dai quali era stata segnata un’intera vicenda storica.
Più che di un progetto narrativo si trattava di un’aspirazione ideale e politica che solo in casi circoscritti ha dato luogo a prodotti narrativi apprezzabili.
La esprimono, nella differenza delle qualità intrinseche, i romanzi e i racconti di
Intento comune sembra essere quello di superare il quadro antropologico della Sardegna proposto nei romanzi deleddiani: le radicate inimicizie, causa prima dell’immobilità sarda, vengono meno, i valori tradizionali sono sottoposti a revisione (ma anche acriticamente esaltati), si afferma una prospettiva di crescita politica e culturale in linea con la temperie dalla quale, negli anni Venti, nasceva il Partito Sardo d’Azione.
La ‘rivoluzione antideleddiana’ sostanzialmente fallisce sotto il profilo linguistico; i modelli canonici resi celebri dalla Deledda vengono per lo più ripresi. Si nota semmai una ridondanza e una ricercatezza lessicale che cozzano con le situazioni umane caparbiamente poste al centro dell’azione narrativa.
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Filippo Addis
Filippo Addis indaga i temi della sardità con spirito caustico e con un approccio stracittadino dal quale gli è reso difficile il rapporto con lo strapaese dei villaggi sardi, e con un gusto del grottesco, alle volte troppo insistito, derivante dalla lezione dell’esperienza letteraria italiana.
Formatosi a Torino, Firenze e Roma, ha pubblicato i suoi primi racconti nella Fanfulla della Domenica e in vari giornali torinesi. Del 1905 è Gloria oratoria, del 1920 la raccolta Il divorzio e del 1926 quella che prende il titolo dal racconto Giagu Iscriccia. Più che al romanzo vero e proprio, egli propende per il racconto lungo o per la novella. Si ricollega, in questo, alla tradizione novellistica italiana, e quindi è in controcorrente rispetto alla tendenza rappresentata dai seguaci della Deledda e in linea, semmai, con il gusto eclettico proprio della prosa d'arte.
Ambienta i suoi racconti in Gallura che descrive con uno stile nitido e preciso mutuato dai modelli letterari della prosa toscaneggiante di estrazione rondista e, al limite, nei racconti più tardi, strapaesana. Il suo modello narrativo propende al bozzetto, talora grottesco, e, tuttavia, capovolge la rappresentazione tradizionale dell'Isola e, con umore argutamente polemico, ne dissacra lo stereotipo di una memoria melensa e acritica che rischia di chiuderla al mondo e alla modernità.
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Francesco Brundu
Le tendenze che si affermano dopo Addis sono già quelle del secondo dopoguerra, quelle del codice narrativo degli scrittori che raccontano l'esperienza della Resistenza, del neorealismo.
Tra la prima e la seconda guerra si colloca l'opera narrativa di Francesco Brundu, pseudonimo di Francesco Fancello (1884-1970), sodale di Lussu, che partecipa alla lotta antifascista nel gruppo di Giustizia e libertà. Egli afferma un punto di vista sardo, autonomistico, aggiornato rispetto ai complessi nodi politici, antropologici ed estetici che riguardano la cultura e la società sarda, ma anche ai termini del dibattito letterario contemporaneo e del rinnovamento che si attua nella seconda metà del Novecento.
Il suo romanzo Il diavolo tra i pastori, viene pubblicato nell'aprile del 1945 a Roma, immediatamente dopo la Liberazione. Un narratore onnisciente racconta in terza persona, in un romanzo saggio, una materia certamente insolita e difficile, lo sradicamento e il blocco antropologico di costumi e tradizioni che dominano in maniera irrazionale la vita di una comunità.
Il secondo romanzo, Il salto delle pecore matte, del 1949, prende il titolo da un impervio luogo della Barbagia dove, un vecchio e cocciuto pastore ha localizzato un filone di piombo argentifero che vorrebbe sfruttare. La miniera, fortemente connotata in senso etnico, allude a un riscatto che guidi i Sardi a riappropriarsi del filone della propria identità. La narrazione in terza persona trasferisce nella pagina pensieri, sentimenti ed emozioni, progetti dell'io narrante, organizzati in un intreccio ben costruito ma lento.
Egli impiega un italiano letterario che è il risultato delle raffinate esperienze degli anni Trenta - Quaranta e che tiene conto dell'incontro di due culture le cui reciproche concessioni finiscono per attenuare il continuo scambio tra concretezza e squisitezza letteraria.
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Il dibattito politico. Gramsci
Un ruolo notevole nel secondo dopoguerra sardo e italiano ebbe Antonio Gramsci (1891-1937).
I suoi Quaderni dal carcere vennero pubblicati a partire dal 1947 grazie ai circuiti editoriali del Partito Comunista Italiano di cui Gramsci, come è noto, fu fondatore e segretario.
Scritti negli anni della prigionia impostagli dal fascismo, i Quaderni sono una riflessione lunga, svolta a più riprese e alla luce delle sollecitazioni più diverse sulla storia e sui destini della società italiana.
Questa riflessione assume spesso i toni del programma politico per l'edificazione di una nuova società, che Gramsci auspicava fosse comunista, sebbene il suo leninismo si veni di certe connotazioni anarchiche che lo resero, anche post mortem, imbarazzante anche nel suo partito. Si consideri, per poter valutare correttamente il valore del suo pensiero, che quando egli scriveva, ancora non si aveva coscienza della natura autoritaria, violenta e antidemocratica dei sistemi comunisti dell'Est. Nel 1950, tratto sempre dai Quaderni, uscì Letteratura e vita nazionale.
L’opera fu decisiva nell'orientare all'impegno politico-culturale diversi scrittori e critici per i quali, come per Gramsci, la "cultura [divenne] una maniera di lottare in attesa di un'azione che gli è negata" (Raimondi).
L’intellettuale è dunque sottratto all'estetismo o all'isolamento, e ricondotto sulle strade dell'impegno civile, perché la letteratura, in tutte le sue forme, concorre naturalmente a diffondere "una concezione della vita e dell'uomo".
Gramsci richiama l'interesse dei critici sulla necessità di rivisitare il valore della tradizione alta della letteratura italiana, così poco popolare e diffusa socialmente, alla luce del sistema della comunicazione culturale in un grande sistema sociale "dove alle forme della tradizione se ne aggiungono altre che vengono considerate minori, volgari e che invece hanno un'importanza decisiva, perché dialogano con l'uomo medio" (Raimondi).
Va detto che quando Gramsci parla della Sardegna, tutto è velato dagli occhi lirici dell'infanzia. Non rinnegò mai le sue origini, anzi, anche da un punto di vista pedagogico consigliò sempre ai familiari di radicarsi e partire da una solida integrazione nella cultura locale.
Tuttavia, egli ebbe ben chiara la necessità della modernizzazione dell'Isola, ma a differenza di molti suoi epigoni, non concepì quest'istanza di progresso in contrapposizione con la tradizione, Non vedeva un rapporto tra l'interno arretrato e l'esterno evoluto appiattito su uno dei due termini.
"L'immagine che egli ci propone complessivamente si articola su due tonalità diverse e complementari: la poesia della fiaba, lo sguardo stupito dell'infanzia che scopre il suo mondo, lo ama, in esso si riconosce e da quello parte per la grande avventura della conoscenza, convivono con la capacità serena di comprenderne i limiti, di cercarne una razionale interpretazione. In perfetta coerenza con il principio indicato al fratello: non credersi superiori all'ambiente in cui si vive, ma non lasciarsene sommergere" (G. Marci).

Per quanto riguarda la Sardegna, Gramsci restituisce dignità anche alle parole della lingua impiegata nell’uso quotidiano e domestico.
Un insegnamento di per se stesso persuasivo che ha acquistato ulteriore forza di penetrazione per la lettura data da Renzo Laconi, prima e poi da Umberto Cardia, l’uno e l’altro impegnati, con l’azione politica, lo studio e la scrittura, a mostrare i fondamenti dell’autonomia e a mettere in luce la tradizione intellettuale sarda.
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Giuseppe Dessì
Giuseppe Dessì rinnova la scelta di porre la Sardegna al centro delle sue opere e interpreta in maniera originale il tema della memoria, in linea con il procedere narrativo delle letterature novecentesche. Lo fa attivando un confronto continuo col dato storico e col bisogno psicologico di autoconoscenza e di autocomprensione.
Dessì, certamente leggendo Gramsci, ma soprattutto l'interpretazione che Lussu, da sardo, dava della prima guerra mondiale, ha potuto comprendere l'esperienza militare paterna e ha potuto rileggere con sempre maggiore chiarezza il proprio vissuto e il passato storico dell'Isola.
Egli delinea un itinerario individuale e collettivo che ha a che vedere con la coscienza del singolo individuo e col sentimento di un popolo bisognoso di identificare se stesso nei travagli dei percorsi storici attraverso i quali è passato per conquistare una sua modernità.
Durante la guerra e nel primo dopoguerra, Dessì aveva collaborato alla rivista Riscossa (1944-1946) di Francesco Spano Satta. Del gruppo dei collaboratori facevano parte ancora Emilio Lussu, Antonio Borio, Salvatore Cottoni, Franco Fulgheri, Giovanni Floris, Francesco Masala, Fiorenzo Serra, Nino Giagu, Vico Mossa, Giovanni Maria Cherchi, Antonio Santoni Rugiu, Angelo Mannoni, Giovanni Lilliu, Luca Pinna, Gavino Musio, Augusto Maddaleni, Toti Mannuzzu, Teresa Crobu, tutti sardi, e Lorenzo Giusso, Aurelio Roncaglia, Lanfranco Caretti, Giorgio Bassani, Franco Matacotta, Antonio Delfini e Joyce Lussu che si trovavano temporaneamente in Sardegna o che erano stati invitati a collaborare alla pagina letteraria della rivista.
Vi scrissero, ed ebbero modo di dibattere le proprie idee, cattolici, socialisti, azionisti, comunisti, quanti cioè, in quel particolare momento, svolgevano a Sassari una attività culturale e politica che era sorretta, almeno allora, da un valido supporto teorico e dottrinale e da una appassionata motivazione intellettuale.
Occorre, inoltre, dar conto del gruppo che si radunava intorno alla rivista Ichnusa (1949-1952 e poi 1956-1962) di Antonio Pigliaru e che si proponeva di allargare e approfondire la riflessione sulla nuova cultura che maturava nella società sarda. Nonostante il gruppo redazionale tendesse a sviluppare gli spunti che offrivano le osservazioni e le considerazioni di Gramsci, il punto di vista e l'ottica restavano però incentrati, per quel che riguarda la letteratura, sulla produzione in lingua italiana.
Certamente Dessì, agli inizi della sua carriera, aveva preso le distanze dal deleddismo per individuarne poi le profonde implicazioni e sostenere, con la sua solita ironia, che i due più grandi uomini che aveva la Sardegna erano due donne: Eleonora d'Arborea e Grazia Deledda, sottolineando così, con un motto arguto, il loro ruolo nazionale sardo.
Come scrittore Dessì intese, e lo dichiarò in maniera esplicita, sottrarsi all'ipoteca della narrativa deleddiana e si avvalse dei modelli elaborati dalla prosa del soggettivismo lirico del Novecento e, soprattutto, dei procedimenti della memoria proustiana. La Sardegna è subito al centro del suo progetto narrativo, mediata, come immagine, dalla memoria e con una valenza fantastica e simbolica assolutamente moderna che non intende avere referenti reali, ma solo esistenziali.
La sua opera si dispiega tra la prima e la seconda metà del secolo e sembra quasi seguire e indicare quelle fasi, che si distinguono ma che anche si compenetrano, e accompagnano la narrativa sarda nel passaggio fra primo e secondo Novecento.
Le sue opere principali:
Nel romanzo storico Paese d’ombre le più innovative esperienze della letteratura europea novecentesca - dal monologo interiore alla scansione del tempo dell’interiorità e della memoria - convivono nella rappresentazione di una storia sarda tesa verso il progetto di Angelo Uras.
Nel romanzo si confrontano sostanzialmente tre Sardegne:
  • una arcaica, i cui valori sono quelli comunitari e solidali, sorretti da norme interiorizzate e motivate, ispirate a una norma naturale di giustizia, una sorta di Ursardinien, distillato di una saggezza millenaria;
  • un'altra Sardegna, ugualmente ancestrale, basata anch'essa su codificazioni che sanciscono il diritto barbarico della vendetta e su una serie di regole tribali di solidarietà al clan che obbligano all'omertà e fungono da copertura alla devianza (una devianza che anche in anni recenti è stata giustificata, più che spiegata, ricorrendo alla "costante resistenziale");
  • un'altra Sardegna ancora, moderna, nutrita di cultura autonomista e orientata al dialogo verso l'esterno, in grado di saldarsi a quella arcaica nella ricerca di una autoidentificazione, di un'autenticità e di un'equità basata su norme che continuano i codici solidali originari e i relativi valori, i quali sollecitano nuove mediazioni culturali e politiche nella cultura democratica contemporanea.
Il Novecento
I premi letterari
Nel 1965 viene pubblicata l'antologia Narratori di Sardegna in cui Giuseppe Dessì e Nicola Tanda tentano una prima sistemazione critica della tradizione letteraria sarda.
In essa veniva posto in primo piano il problema del bilinguismo della società sarda, nel tentativo di comprendere le ragioni della scarsa incidenza della letteratura prodotta in Sardegna in italiano, nel sistema della letteratura nazionale. Le ragioni venivano individuate nelle difficoltà che gli scrittori incontravano nel trasferire il proprio vissuto, che si era costituito in lingua sarda, vera matrice della propria lingua poetica, in una lingua, sostanzialmente estranea, molto spesso appresa in maniera scolastica e libresca. Era possibile, del resto, individuare nella loro prosa la difficoltà di impiegare, con equilibrio, i vari registri linguistici. Questa discrasia limitò molto gli scrittori e sollecitò i critici a una più precisa presa di coscienza teorica sul significato e il valore della letteratura in lingua sarda.
Furono soprattutto i premi letterari, e più di ogni altro il Premio Ozieri, a creare una possibilità di effettivo interscambio tra le esperienze letterarie nelle due lingue. L'antologia di Tanda e Dessì, concepita nell'ambito di una collana che si proponeva di rendere conto delle diverse realtà letterarie regionali, prendeva l'avvio dagli scrittori di fine Ottocento e dei primi del Novecento e trovava il punto cardine di una storiografia letteraria regionale nella Deledda e i suoi canoni nelle opere di Lussu, di Gramsci, di Dessì e di Cambosu.
Venivano quindi registrate le esperienze del primo dopoguerra, quelle di Franco Solinas, Francesco Masala, Maria Giacobbe, Giuseppe Fiori, Paride Rombi, Giuseppe Zuri (pseudonimo di Salvatore Mannuzzu). Prove narrative che sono da collocare, come è stato accennato, nell'ambito di pertinenza dei codici narrativi del romanzo neorealista, un modo di narrare che voleva essere vicino ai processi del reale e si avvaleva di moduli neoverghiani nella supposizione che le vicende quasi potessero narrarsi da sole. Tra questi, solo la Giacobbe e Mannuzzu hanno continuato a scrivere opere esclusivamente narrative. Successive, e solo in parte ascrivibili a queste, sono le esperienze di Antonio Cossu, di Antonio Puddu, di Francesco Zedda e Michele Columbu, e, in parte di Nunzio Cossu e di Pietrino Marras.
Gli anni Cinquanta
Negli anni Cinquanta vecchio e nuovo coesistono:
  • Francesco Zedda pubblica C’è un’isola antica (1953), che fin dal titolo annuncia lo scenario di riferimento, con quell’antico di cui si continua ad andare orgogliosi e che viene ancora interpretato con lo spirito della tradizione letteraria, sia pure introducendo un modo di trattare la storia che, questa volta, ignora la verità dei documenti e preferisce l’invenzione alla quale si consegna la volontà di risarcimento
  • Paride Rombi con Perdu (1953) che riprende un modulo deleddiano, sia pure con una storia ambientata in una regione isolana diversa dalla fiera Barbagia.
Scrittore di indubbio rilievo culturale e letterario, Zedda si è formato a Cagliari e poi nella Milano del primo dopoguerra, nel contesto di quelle esperienze artistiche e nella quasi quotidiana frequentazione di Quasimodo, di Montale, di Aligi Sassu e Achille Funi. Zedda ha la fantasia e gli strumenti del grande narratore, cioè l'arte di costruire la complessa macchina narrativa del romanzo e di dominarla in tutte le sue parti. Il suo narrare epico, intriso e quasi impastato di umori sociali, storici, psicologici, è costruito con grande sapienza letteraria sui modelli narrativi della grande tradizione italiana e straniera, da Manzoni a Bacchelli, da Tolstoj a Stendhal. Tuttavia mai Zedda si allontana dal suo automodello sardo che ricorre in tutti i suoi romanzi, con la sola eccezione dell'ultimo, Sinfonia aurea (1987).
Testimoniano il mutamento di clima, oltre alle opere di Salvatore Cambosu Una stagione a Orolai (1957) e Miele amaro (1954 anche il Diario di una maestrina (1957) di Maria Giacobbe.
Sia per Cambosu, sia per la Giacobbe, la Sardegna non è più un assoluto che vive il rapporto con l’esterno come un disturbo (la dominazione, il saccheggio delle risorse), nella convinzione che il tutto il bene possibile sia nel suo territorio e tutto il male all’esterno, ma è una terra e un ambiente sociale ed economico che nel confronto con la contemporanea realtà italiana e mondiale scopre la propria debolezza e la nuova ingiustizia da cui è colpita.
Il Novecento
Gli anni Sessanta
Negli anni Sessanta la tendenza inaugurata da Cambosu e dalla Giacobbe si afferma a opera una generazione di giovani autori che danno luogo a un indirizzo i cui esiti arrivano fino ai giorni nostri, sia pure filtrati dalle esperienze del successivo ventennio. Da citare:
Queste opere, tra loro assai diverse, nel complesso riescono tuttavia a dare il senso del grande cambiamento intervenuto, nel mondo sardo, e nella sua letteratura.
Una citazione a parte merita il romanzo Squarciò (1956) di Franco Solinas che offre una rappresentazione atipica della Sardegna e dei suoi problemi: non meno coinvolta, tuttavia, con le fondamentali questioni attorno alle quali hanno lavorato tanti autori isolani.
Solinas sposta l’attenzione dalle montagne alle coste, dagli ambiti pastorali più noti a un inedito ambiente marinaresco, da moduli narrativi ben collaudati verso un’asciuttezza stilistica e tagli del racconto che preludono alla scrittura per il cinema, suo più autentico campo d’azione.
Il Novecento
Michele Columbu e Nunzio Cossu
Michele Columbu (1914) riprende le ragioni del sardismo storico per aggiornarlo alle problematiche contemporanee. Il suo narrare in terza persona assume un punto di osservazione interno e muove dal recupero dell'esperienza di chi ritorna, dalla guerra o dalla prigionia, come in L'aurora è lontana. Dalla Sardegna: Racconti (1968). L'ironia attenua i margini di partecipazione a quell'universo antropologico e prefigura l'attesa di un riscatto, motivo ricorrente nella narrativa di matrice sardista (si ricordi Aurora sarda di Pietro Casu). Il successivo, Senza un perché, segnalato nella cinquina del Premio Dessì del 1992, ha il fascino della fiaba. Compie infatti un passo ulteriore verso una narrazione che, mediante un insieme di punti di vista, realizza la coralità del paese e consente il variare di prospettive di senso che gli avvenimenti possono creare.
Nunzio Cossu (Orotelli 1915- Roma 1971) persegue in Caino una forma di romanzo in controtendenza rispetto al codice narrativo neorealista, nel quale è predominante la ricerca di un linguaggio che poeticamente tenta di restituire al lettore suggestioni primordiali, non soltanto nell'ambientazione, ma anche nei personaggi, colti fantasticamente nella loro psicologia e nei loro atteggiamenti biblici.
La narrazione in terza persona, distaccata come provenisse da ricordi ancestrali, procede a delineare il percorso dell'uomo verso l'accettazione del proprio destino terrestre. Il suo determinarsi avviene, in un'atmosfera mitica, in rapporto con la natura all'esterno e con la coscienza al proprio interno. Nel proposito di aderire ad una natura aspra ed essenziale, la lingua aderisce strettamente alla percezioni e alle sensazioni.
Il Novecento
Antonio Puddu
Antonio Puddu (1933), come Michele Columbu, si muove nella realtà del mondo agropastorale e affronta in Zio Mundeddu (1968) il grande tema dell'esistenza e dei sentimenti che si agitano nella coscienza di uomini semplici e saggi.
Riformula in italiano le vicende che personaggi, immersi in un universo di parlanti in sardo, hanno vissuto. Sceglie perciò un italiano che si adatta a una situazione regionale mediante un registro familiare e quotidiano, in grado di rendere le emozioni e le riflessioni di un pastore che sogna ed ha una ricca vita interiore. La sua prosa, la sintassi soprattutto, si adatta al flusso dei pensieri intorno alla dura lotta per sopravvivere, alla bellezza della natura, ai moti della coscienza, agli affetti e alla famiglia. Il suo monologare si realizza spesso in forma diretta, oppure con il discorso indiretto libero.
Anche il suo secondo romanzo, La colpa di vivere (1983), approfondisce il tema della faticosa esistenza umana. Il cambiamento, indotto nel paese dalla meccanizzazione e dalla lotta politica, produce emigrazione e perdita dei valori della collettività e affonda tutti, possidenti e agricoltori, in una palude di angoscia irrimediabile dalla quale emergono solo i ricordi di un passato povero, ma attivo e sereno. La scrittura, sobria e controllata, è in funzione di una costruzione narrativa essenziale e misurata nella sua tensione drammatica.
Sono del 1996 i racconti La valle dei colombi e del 2001 il romanzo Dopo l’estate.
Il Novecento
Pietrino Marras
Ancora in questo periodo occorre inquadrare l'opera narrativa Le pietre bianche, in cui Pietrino Marras (Bono 1925-1979) racconta la sua prima esperienza di insegnante degli adulti in una sperduta frazione dei salti di Alà dei Sardi. L'autore riesce a restituire intera la suggestione di una società che resiste al tentativo di osservazione da parte di una cultura esterna e si rivela, invece, pienamente a chi mostra di volerla osservare dall'interno con animo partecipe. A questo maestro, cacciatore e poeta in lingua sarda, la comunità rivela il prodigio di un sapere atavico che realizza una forma di sopravvivenza primordiale, che disprezza l'acculturazione e in armonia con una natura pure aspra, produce uomini consapevoli e straordinariamente uniti da legami di solidarietà.
Il fascino del primitivo arricchisce la suggestione delle pagine che descrivono l'ambiente e i personaggi. Marras continua sulla scia del Diario di una maestrina (1957) di Maria Giacobbe (1928) e di Le bacchette di Lula (1969) di Albino Bernardini, il racconto del confronto tra il superficiale sapere dell'acculturazione e il più suggestivo sapere, quello profondamente vissuto dalla comunità osservata, che si esprime nei modi primitivi della iniziazione della scuola impropria.
Il Novecento
Bachisio Zizi
I romanzi che Bachisio Zizi (1925) ha scritto dal 1968 a oggi alludono spesso metonimicamente, anche nei titoli, a luoghi aspri e duri: Il filo della pietra (1972), Il ponte di Marreri (1981), e, dopo l'approccio sociologico degli inizi con Marco e il banditismo (1968), con uno spostamento metaforico, rinviano al rapporto ossimorico mansuetudine-rabbia di Greggi d'ira (1978), fino a giungere, penetrando nel vortice della memoria, al mito emblema di Erthole (1984).
I romanzi appaiono come variazioni e articolazioni di uno stesso tema, di una Erlebnis che li codifica secondo procedimenti e regole narrative proprie di una scrittura di impianto realistico e di una lingua letteraria perennemente oscillante tra il tono lirico alto e l'andamento prosastico aperto a inflessioni e a procedimenti sintattici regionali.
Con Erthole Zizi abbandona la scelta restauratrice del racconto di impianto naturalistico che mimava la realtà e faceva dell'autore un narratore onnisciente, depositario di una verità che non andava cercata ma solo dimostrata, o, se si vuole denunciata. L'io narrante ritorna dopo varie esperienze al suo paese d'origine, Orune, nelle zone interne della Barbagia e cerca di comprendere le ragioni del male, oscuro, endemico che travaglia questa comunità.
Il personaggio che dice io, in maniera non diversa da quello del successivo romanzo, Santi di creta (1987) si interroga ancora sull'immagine e sull'avvenire della società nuorese e della Sardegna interna, ma ormai senza certezze e, semmai, avanzando ipotesi che con quella realtà immutabile e circolare tentano di fare decisamente i conti.

Il Novecento
Gli anni Settanta.
Già Franco Cagnetta, con l'Inchiesta a Orgosolo (1954) e Giuseppe Fiori (1923) con i reportage letterari Baroni in laguna (1961) e La società del malessere (1968) avevano trascritto nella loro prosa colta e rispettosa del dato documentario le vicende dei pastori sardi coinvolti nel "malessere" scaturito dall'impatto con la civiltà industriale e con i modelli di uno sviluppo a senso unico. Ma, dopo il Sessantotto, era sembrato che anche in campo letterario fosse possibile che i protagonisti scrivessero le cronache delle lotte, senza che avessero conquistato una vera e propria competenza della scrittura letteraria.
In questo clima, legato al Sessantotto, si inserisce anche la collana dei "Franchi narratori" o le altre collane analoghe destinate a opere naïf di autori che erano stati partecipi, come si diceva in quegli anni, delle "lotte in corso".
Proprio nella collana dei "Franchi narratori" di Feltrinelli era apparso il "memoriale" di Gavino Ledda (1938) Padre padrone (1975) che era divenuto, grazie ad un intenso lavoro redazionale, un testo iperletterario. Sulla linea della più vivace narrazione orale, il vissuto della iniziazione di un pastore diventava sintomo e referto di un complesso edipico, sociale e politico, che criminalizzava tutti: tutti padri e tutti padroni.
Padre padrone è la potente evocazione di un universo che si ribella a se stesso e all’ordinamento sociale ed economico da cui è oppresso, filtrata attraverso lo sguardo del giovane protagonista titanicamente proteso verso un sogno di conquista della cultura e della libertà di decidere del proprio destino. Il romanzo è scritto in un ribollente impasto linguistico in cui il sardo imprigionato sembra confliggere con l’italiano: da tale scontro deriva una materia linguistica irta d’asperità ed espressivamente efficace.
Un testo che probabilmente, scritto in sardo, avrebbe accresciuto le sue straordinarie risorse di interesse e di fascino.

Il Novecento
Gli anni Settanta. Documentari e memoriali
Simile l'esperienza di Angelo Carta (1946), autore di Anzelinu (1981) che approdava anch'egli, attraverso l'emigrazione, alla città e alle delizie dell'istruzione scolastica. Compiuto il percorso "cittadino", egli ha però modo di verificare proprio l'autenticità, dal punto di vista esistenziale, della scuola impropria e, in particolare, di quell'esperienza che intendeva porre in discussione come male. Il lungo racconto, Anzelinu, è memorialistico, cioè autobiografico, e oscilla costantemente tra il lirismo soggettivo della memoria e l'ironia pungente della denuncia, anarchica e senza prospettive, del presente e delle componenti contraddittorie che lo caratterizzano, le quali sono così esigenti da un punto di vista etico da indurlo a ritornare per insegnare, dopo la laurea, in Sardegna.
La scansione narrativa muove dai luoghi, Roma o Torino, dai quali poi scatta il ricordo che trova nella Sardegna un punto di riferimento e di approdo costante. La lingua letteraria, inoltre, sorretta in genere dal registro lirico della memoria, cede all'andamento della cronaca quando affronta i temi dell'acculturazione nella città e dell'alienazione indotta da una civiltà tecnologica spesso disumanizzante.

Il Novecento
Salvatore Satta
In questi anni e in questo momento di intensa militanza politico-culturale e di ripresa del romanzo si colloca il successo del romanzo Il giorno del giudizio (1977) di Salvatore Satta (1902-1975), una delle opere di più alto livello letterario che si siano registrate in Sardegna.
Prima di raggiungere un simile risultato, Satta aveva presentato al Premio Deledda La veranda, scritto nel 1925, che aveva ottenuto scarsa considerazione dalla giuria ed è stato pubblicato dopo la morte dell'autore nel 1981. Il romanzo ha finito così per rappresentare un caso letterario, una specie di Gattopardo sardo, come è stato definito, proprio perché maturato accanto e al di fuori delle tendenze narrative correnti. È infatti il prodotto di una scrittura letteraria raffinatissima e di una straordinaria libertà espressiva che traggono origine da una cultura umanistica e filosofica profonda e vastissima, un'opera che rappresenta davvero una grande e drammatica metafora dell'esistenza.
Il giorno del giudizio, costruito su una struttura talmente sbilanciata da produrre, di per se stessa, effetti drammatici, nella prima parte ricapitola i termini di una storia individuale e collettiva e racchiude nell’unica pagina della seconda parte il breve ma compiuto monologo del narratore che traccia l’inventario dei motivi dai quali è stato spinto a evocare le vite dei personaggi e ripensa a ciò che quell’atto ha prodotto. Una sintesi da giudizio conclusivo, appunto, che coincide col racconto del dramma interiore di chi si è distaccato da un mondo con cui sente il bisogno di fare i conti nel tentativo, vano, di riappropriarsene.

Il Novecento
Gli anni Ottanta
Gli anni Ottanta si aprono con Il ponte di Marreri (1981) di Bachisio Zizi, che studia il passato avendo in mente le dinamiche economiche del presente e le possibilità del futuro.
Seguono:
Questi ultimi autori, e segnatamente Atzeni e Mannuzzu, esprimono, ciascuno a suo modo, un cospicuo sforzo di innovazione sia sotto il profilo dell’organizzazione strutturale del racconto, sia sotto quello delle scelte linguistiche.

Il Novecento
Natalino Piras e Paolo Cherchi
A Bua, per alcuni versi, si può accostare Natalino Piras (1951) autore del racconto Il tradimento del mago del 1986. Un po' racconto, un po' ricerca sul campo, il testo cerca, con scrupolo erudito e intento documentario, di coprire la distanza tra gli antichi contos e la narrazione moderna. Il linguaggio, dal forte spessore metaforico, si misura nel tentativo di dare sostanza anche linguistica al confronto tra la società arcaica e la civiltà industriale e tecnologica.
A parte occorre registrare invece un'esperienza, insolita e forse unica in questo contesto, quella della prosa di Paolo Cherchi (1937). Nella raffinata collana della Fondazione Schlesinger, curata da Anna Lisa Cima, egli ha pubblicato, nel 1988, L'amante tropalico ed altri erostrati.
Erostrati e astripeti (Il Maestrale, 2005) è il titolo della sua ultima opera, riedizione, rivista e ampliata di Herostraticon. Medaglioni di astripeti ovvero dall’osco-umbro al logudorese" (Edes, 2002), pubblicata nel 2002 e vincitrice del Premio Dessì.
Cherchi, che insegna Filologia romanza nell'Università di Chicago, si pone sul versante colto e ironico della scrittura. Appartiene, in qualche modo, a quella cerchia di scrittori che di recente hanno scelto, come oggetto di narrazione, quella particolare umanità costituita dal mondo accademico internazionale, quei docenti universitari che, come i clerici vagantes o gli umanisti di una volta, sono portatori di un sapere tutto moderno, filtrato però attraverso le elaborate produzioni letterarie del passato. La letteratura nasce dalla letteratura, dice uno dei suoi personaggi. Nel vagare da una università all'altra essi lasciano trasparire, insieme alle loro terrestri passioni, irresistibili tratti comici e tic che li rendono singolari e indimenticabili. Un umorismo sintetico, di stile anglosassone, disegna individui nevrotici e sanguigni, nutriti di erudizione, narcisisti e assatanati. Un'umanità metropolitana che ritroviamo nei racconti di Bellow e di quanti altri hanno scelto di portare il lettore dietro le quinte di quel teatro dove si svolgono lezioni, feste e convegni accademici.
Cherchi recupera il gusto e la disinvoltura di una tradizione narrativa che affonda le sue radici nel romanzo greco, latino e perfino medievale. Ma dietro la sua prosa ricca di umori si accampa, al centro della narrazione, il tema tragico dell'esistenza, della solitudine, della lotta per far sopravvivere la propria intelligenza e il proprio destino alla sfida del tempo. È questa la qualità dell'erostrato, gladiatore della gloria e del sesso, che chiede alla vita sempre ulteriori prove per trionfare sulla morte e avere un certificato di esistenza presso i posteri. Una scheda almeno, nello schedario di una grande biblioteca, la babelica biblioteca di Borges, dove "il rifiuto secolare dorme". In questo scenario metafisico e astratto, da oltre tempo, la prosa di Cherchi, elegante e perversa, raggiunge effetti ironici e grotteschi irresistibili.

Il Novecento
Scritti in lingua sarda
Diversi scrittori danno alle stampe racconti e romanzi scritti in sardo, in molti casi attenti alla lingua e all’universo che rappresentano più che alla modulazione stilistica.
Vanno ricordati:
  • i brevi testi premiati a Ozieri e pubblicati su "La grotta della vipera" (1976-1977);
  • il racconto Arricheteddu (compreso nella raccolta A fuoco dentro/A fogu aintru, 1978) di Giulio Angioni;
  • i romanzi S’àrvore de sos Tzinesos (1982) e Mastru Taras (1991) di Larentu Pusceddu;
  • Sos sinnos (1983) di Michelangelo Pira;
  • Mannigos de memoria (1984) e A tempos de Lussurzu (1985) di Antonio Cossu;
  • Alivertu (1986) di Mario Puddu;
  • Po cantu Biddanoa (1987) di Benvenuto Lobina;
  • Sas gamas de istelài (1988) di Albino Pau;
  • S’istoria (1989) di Francesco Masala;
  • Su Zogu (1989) di Gianfranco Pintore;
  • Sas andalas de su tempus (1992) di Giovanni Piga.

Il Novecento
La poesia
Una ricchezza notevole si ritrova anche nella poesia, sempre più capace di esprimersi, ora in sardo ora in italiano, ora, e con lo stesso autore, in ambedue le lingue, in forme espressive non di rado moderne e consapevoli dei percorsi sperimentati dall’attività poetica, italiana e non solo italiana, nel corso del Novecento. Oltre ai nomi già richiamati, in un’elencazione assolutamente provvisoria e che accosta personalità diversissime, occorre ricordare almeno:
  • Annunzio Cervi,
  • Giaime Pintor,
  • Sergio Manca,
  • Gaetano Patarozzi,
  • Mercede Mundula,
  • Marcello Serra,
  • Pietro e Antonio Mura,
  • Francesco Masala,
  • Benvenuto Lobina,
  • Angelo Mundula,
  • Raimondo Manelli,
  • Peppino Marotto,
  • Giovanni Maria Cherchi,
  • Gigi Dessy,
  • Grazia Dore,
  • Franco Cocco,
  • Grazia Maria Poddighe,
  • Orlando Biddau,
  • Giovanni Dettori,
  • Leonardo Sole,
  • Raffaele Mascolo Ciusa,
  • Alberto Lecca.

Il Novecento
Sergio Atzeni
Sergio Atzeni (1952-1995) con L'apologo del giudice bandito (1986), costruisce, nel contesto della Sardegna del Quattrocento, un racconto breve, incentrato su personaggi estrosi e spagnoleschi che catturano l'attenzione del lettore.
Questi personaggi appartengono sostanzialmente a tre categorie, quelli proni alle ingiunzioni del potere di turno, i locos, e quelli d'ingegno, fautori di indipendenza, ma pochi e banditi. Lo sfondo è una Sardegna segnata dalla malaria, dalla carestia, dalla fame e dalle cavallette, in un'epoca che l'autore fissa nel 1492, anno della scoperta dell'America e dell'inizio dell'età moderna, ma che serve a significare l'assoluta mancanza di cambiamento e quindi di modernità.
Un'allegoria della storia dell'isola come storia di una nazione mancata per l'assenza di una diffusa coscienza della propria unità e che si rifugia più che in alto, sulla montagna, nel profondo della terra, nei pozzi, nelle gallerie di miniere da utilizzare e sfruttare.
Da queste profondità geografiche e dell'inconscio, dove si gioca la partita della riscossa, non possono che giungere se non segnali di bardane. La struttura narrativa si avvale di invenzioni sagaci e moderne, sa tagliare la dimensione dell'episodio e sfoltire la pagina disegnando in maniera plastica i personaggi, ricorrendo anche al materiale povero delle immagini di un universo antropologico di mera sussistenza. La lingua, inoltre, mescola con abilità termini spagnoli e termini sardi popolari.
La seconda prova, Il figlio di Bakunin (1991), costituisce un ulteriore passo avanti nel modo di proporre il racconto. La struttura narrativa ha il carattere di un'inchiesta. Una madre, in vena di raccontare al figlio i personaggi della sua giovinezza, accenna, sulla spinta di un sogno, a uno dei giovani che l'avevano corteggiata: "Minatore, compagno. Anche dirigente del partito. Un po' matto".
Il racconto prende l'avvio subito nei modi dell'inchiesta, che è anche l'antica ricerca del padre. Il reporter - figlio - narratore, nato negli anni Cinquanta, connotato dall'orecchino e dalla smania di ricercare la verità e di documentarla ascolta, registra e trascrive i ricordi che dell'"eroe" sono sopravvissuti nella memoria degli intervistati. Un modo di far emergere il personaggio e quindi un clima storico e sociale, un momento di trapasso della società sarda, ma non solo sarda, con le sue aspirazioni, i suoi modelli, i suoi miti. Un modo di narrare che rinverdisce il filone neorealista, aggiornandolo a una problematicità tutta moderna, quella dell'identità data dal groviglio inestricabile prodotto dal proprio sentire e dallo sguardo altrui, a volte velato dal pregiudizio, a volte dall'affetto, a volte dall'invidia. Il quinto passo è l'addio (1995) è uno dei migliori esempi di romanzo metropolitano.
Oltre all'ulteriore progresso che si registra a livello linguistico nella direzione di una lingua che, pur letteraria, si anima con notevoli acquisizioni dal parlato dell'italiano regionale e del sardo, il romanzo ha una fortissima connotazione politica e religiosa. La prima, nella concezione della storia recente dell'Isola come contrassegnata dal tradimento delle attese della generazione che negli anni Settanta aveva creduto nell'intenzione della Sinistra di riformare e modernizzare la Sardegna; la seconda, in una visione dell'esistenza come occasione per mettersi in gioco, per non sprecarsi nella rassegnazione, per imparare a riconoscere il bene e il male nella quotidiana giostra degli eventi.
Questa vena religiosa è evidentissima nella sua opera postuma Bellas Mariposas (1996) nella quale, dal punto di vista linguistico, un italiano regionale fortemente connotato socialmente, un vero sermo humilis, dà conto della vita libera, povera, disagiata e disadattata, infelice e violenta, di due giovanissime della periferia cagliaritana, le quali, pur immerse in un contesto degradato, brillano per il loro candore, per la purezza che appare chiara, agli occhi di chi comprende che nessuna vicenda storica riesce a sovrastare il miracolo e il mistero della vita, di ciò che è vivo e pulsa di voglia di vivere.
La sua opera giornalistica di recente è stata raccolta da Gigliola Sulis nei due volumi Scritti giornalistici (1966-1995) pubblicati da Il Maestrale. In contemporanea la stessa casa editrice ha pubblicato una raccolta di racconti inediti dello scrittore (I sogni della città bianca, 2005).