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giovedì 14 giugno 2012

Apprendimento cooperativo

Proseguendo il discorso iniziato nel post del 9 Aprile 2012 si ribadisce il concetto che l'apprendimento cooperativo non significa genericamente «lavorare in gruppo»: non basta infatti organizzare la classe in gruppi perchè si realizzino le condizioni per un’ efficace collaborazione e per un buon apprendimento. 

Qualsiasi insegnante che si sia cimentato qualche volta in questa pratica lo sa senza bisogno di ulteriori spiegazioni.

Con cooperative Learning si fa riferimento ad un insieme di principi, tecniche e metodi di conduzione della classe, in base ai quali gli studenti affrontano l’apprendimento delle discipline curricolari (o altro) lavorando in piccoli gruppi in modo interattivo, responsabile, collaborativo, solidale e ricevendo valutazioni sulla base dei risultati ottenuti.

L’idea di lavorare insieme non è certo nuova nella storia dell’umanità, ma mai come in questo periodo l’arte della collaborazione appare indispensabile e difficile. 
Indispensabile, se si considera l’accelerazione spaventosa in cui in questi ultimi decenni è cresciuto il numero di informazioni tecniche e scientifiche a fronte di una progressiva parcellizzazione e settorializzazione delle conoscenze individuali, il che obbliga a mettere in comune competenze, conoscenze, risorse, in progetti di ricerca e intervento condivisi.

Il tempo trascorso a scuola potrebbe rappresentare una delle poche opportunità per sperimentare rapporti di tipo collaborativo, per apprendere la flessibilità, l’abitudine a considerare altri punti di vista, la capacità di dare e chiedere aiuto, sostenere e sentirsi sostenuti: esperienze indispensabili per la salute e il benessere individuale e per l’acquisizione delle competenze sociali richieste in qualsiasi ambito lavorativo futuro. 

Di qui l’estrema attualità dell’apprendimento cooperativo in classe e della formazione di insegnanti che sappiano organizzare e condurre esperienze in tal senso con i loro alunni.



Approcci diversi e caratteristiche comuni 

Numerose sono le prospettive teoriche, le indagini, le sperimentazioni che stanno alla base delle procedure di Cooperative Learning. Volendo limitare l’esplorazione al secolo scorso, possiamo rintracciare nel pensiero di J. Dewey, nelle iniziative di F. Parker, negli studi di K. Lewin di R. Lippit e M. Deutsch e per certi aspetti di Allport (teoria del contatto) e Rogers (pearson centered learning) le radici di questo orientamento. 

Nel panorama odierno si possono distinguere modelli diversi di Cooperative Learning (il «learning together» dei Johnson, il «group investigation» della Sharan, lo «student team learning» di Slavin, lo «structural approach» di Kagan, la «complex instruction» della Cohen…), con aspetti peculiari che li differenziano gli uni dagli altri, ma con un insieme di caratteristiche condivise e fondamentali che ne designano senza alcun dubbio l’appartenenza alla composita famiglia del Cooperative Learning. Quali sono dunque queste caratteristiche? Ci facciamo guidare nella ricerca da M. Comoglio (1996) e da Y Sharan (1998)  che approdano sostanzialmente al medesimo elenco, con poche differenze: 
  • interdipendenza positiva nel gruppo 
  • responsabilità personale (Sharan) 
  • interazione promozionale faccia a faccia 
  • importanza delle competenze sociali 
  • controllo o revisione (riflessione) del lavoro svolto insieme 
  • valutazione individuale e di gruppo 
  • piccoli gruppi eterogenei. 
Interdipendenza positiva 
Significa percepire che si è legati gli uni agli altri in modo da condividere la sorte: ci si salva o si perisce insieme; non c’è successo individuale se il gruppo fallisce, come in una squadra che perde sono poco significative le prodezze individuali di un cannoniere; d’altra parte il successo di un alunno non esclude quello degli altri, come succede in genere nelle classi competitive, anzi contribuisce a migliorare il livello del gruppo. Cresce la motivazione a preoccuparsi della qualità dell’apprendimento di ogni compagno nel gruppo e la condivisione della soddisfazione per il successo di ognuno. 
Il sentimento di interdipendenza può essere alimentato agendo su diverse strutture: 

  • gli obiettivi (interdipendenza di obiettivi): vengono dati obiettivi comuni a tutto il gruppo; 
  • i compiti (interdipendenza di compito): si assegnano al gruppo compiti che nessun membro è in grado di eseguire da solo; 
  • i ruoli (interdipendenza di ruolo): si distribuiscono fra i membri i ruoli necessari ad un buon andamento del gruppo;
  • le risorse (interdipendenza di risorse): i materiali e gli strumenti di lavoro vengono forniti non individualmente ma al gruppo che ne organizza l’utilizzo;
  • la valutazione (interdipendenza di ricompensa): risulta molto forte quando il successo di ognuno dipende da quello di ogni altro membro del gruppo e quando la valutazione individuale risente sia della prestazione personale sia della valutazione che viene attribuita alla prestazione del gruppo; l’interdipendenza, invece, è molto più debole quando la valutazione assegnata al gruppo si limita alla media dei punteggi conseguiti da ogni singolo membro-.
Responsabilità personale
É necessario che l’insegnante organizzi l’attività e la valutazione seguente in modo da non lasciare spazio a chi «viaggia a rimorchio» pago di un generico voto di gruppo, o a chi tende a sovraccaricarsi di lavoro, in virtù anche delle sue maggiori competenze. É indispensabile quindi alimentare il senso di appartenenza e di interdipendenza positiva fra i membri del gruppo. 

Interazione promozionale faccia a faccia 
Questa può essere definita approssimativamente come «il clima generale di incoraggiamento e di collaborazione che si respira dentro il gruppo di lavoro, cioè la misura non solo reale, ma pure oggettivamente avvertita della fiducia e della disponibilità di ogni membro nei confronti degli altri» (M. Comoglio, 1999, pag52)

Vi concorrono fattori quali: il rispetto reciproco, l’aiuto e l’assistenza fra i membri, lo scambio di informazioni, materiali, feed-back per migliorare le prestazioni successive, le discussioni per giungere ad una migliore comprensione dei contenuti e/o dei problemi, l’impegno nello sforzo di raggiungere gli scopi 
comuni. (Johnson e Johnson 1996).
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Importanza delle competenze sociali
Tutti gli autori dei vari modelli di Cooperative Learning citati all’inizio di questo paragrafo concordano nel considerare determinanti le competenze sociali ai fini di un buon apprendimento e di una soddisfacente relazione all’interno del gruppo e quasi tutti – ad eccezione di Slavin - attribuiscono all’insegnante, pur con sfumature e accentuazioni diverse, il compito di insegnare esplicitamente tali competenze agli alunni.
Ma cosa dobbiamo intendere per competenze sociali?


Fra le diverse categorizzazioni riscontrabili in letteratura sull’argomento, proponiamo la tabella di Goldstein et Al. (1985, p 291), per la sua declinazione in abilità e comportamenti. 
Suggerimenti interessanti a questo riguardo ci vengono anche da Comoglio (1999 pp 67 –68) e dai Johnson, nell’opera citata; questi ultimi sono gli autori che certamente attribuiscono la maggior attenzione e importanza all’insegnamento diretto, da parte dell’insegnante, delle competenze sociali necessarie per la formazione e il funzionamento dei gruppi e per la realizzazione, al loro interno, di un apprendimento efficace; tali competenze includono pertanto, come è riscontrabile in parte anche nella tabella di Goldstein, l’uso di strategie metacognitive per migliorare la consapevolezza e il controllo delle conoscenze e dei processi per acquisirle. 


Controllo o revisione
Gli studenti devono abituarsi, con la guida dell’insegnante, a tenere sotto controllo l’ attività del gruppo in relazione alle competenze sociali che si vogliono esercitare, allo sviluppo dell’interdipendenza positiva, alla realizzazione degli obiettivi conoscitivi e cognitivi legati al lavoro ecc. Si esamina inoltre il processo di apprendimento, ricavando informazioni utili dall’esperienza effettuata e facendo ipotesi su come ventualmente migliorarla in seguito. 
Questa riflessione – revisione che può esser condotta in itinere e/o alla fine di ogni attività si è dimostrata una variabile importante nel miglioramento dei risultati. 

Valutazione individuale e di gruppo
Questo tema meriterebbe da solo un’ampia trattazione, a cui dobbiamo purtroppo rinunciare per ragioni di spazio; rinviamo all’accenno fatto precedentemente a proposito dell’interdipendenza di ricompensa e suggeriamo di ricercare, nelle opere dei principali autori che indichiamo alla fine dell’articolo, le differenze che caratterizzano al riguardo i vari modelli di Cooperative Learning. 

Gruppi piccoli e preferibilmente eterogenei 
La scelta a favore dell’eterogeneità del gruppo accomuna sostanzialmente gli autori di tutti i modelli citati. I Johnson e Kagan sostengono che le differenze di provenienza, cultura, sesso e competenze all’interno dei gruppi favoriscono attività di elaborazione, ragionamento, memorizzazione a lungo termine dei contenuti, producono maggiori opportunità di peer tutoring e di sostegno e migliorano le relazioni interrazziali, rendendo la classe più gestibile.
 La Sharan e la Cohen strutturano il loro modello intorno alla proposta di compiti complessi , quali una «ricerca» ( Sharan) o «temi», «compiti aperti» che prevedano una molteplicità di abilità (Cohen) proprio per garantire a tutti l’opportunità di mettere in gioco le diverse risorse che possiedono e contribuire al lavoro del gruppo. Ciononostante a volte può essere consigliabile formare gruppi più omogenei a causa dei limiti operativi che quelli eterogenei in certe condizioni possono presentare: dipendenza dal compagno più competente, scarse stimolazioni per gli alunni più esperti, difficoltà a superare differenze o stereotipie molto accentuate ecc. 
Per quanto riguarda il numero dei componenti, esso può variare da 2 a 4/5, senza superare questa cifra e tenendo presente che con l’aumentare del numero aumentano sicuramente le stimolazioni, le opportunità , ma sono necessari anche tempi più lunghi e maggiori competenze comunicative e gestionali da parte degli alunni. 


Cooperative Learning e metodo Feuerstein: possibili sinergie? 
Come si può immaginare, la conduzione della classe secondo le modalità del C.L., anche se per tempi limitati e parziali, colloca l’insegnante in un ruolo e postula competenze e comportamenti profondamente diversi da quelli che caratterizzano la lezione frontale. 
Competenze e comportamenti che non si improvvisano. 

Va da sé che un confronto continuo può avere senso e valore euristico a condizione che si parta da 
un’approfondita e sperimentata conoscenza dei metodi in questione nella loro originalità , per evitare dannose approssimazioni e inutili sincretismi.

Riferimenti bibliografici 

M.Comoglio, Verso una definizione del Cooperative Learning in «Animazione Sociale» n. 4/1996

M. Comoglio, Il Cooperative Learning. Strategie di sperimentazione, Quaderni di Animazione e Formazione, Animazione Sociale, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1999 

D.W. Johnson e R.T. Johnson, Apprendimento Cooperativo in classe. Migliorare il clima emotivo e il rendimento, Erickson, Trento 1996 

Goldstein A.P. et al Structured Learning in L’AbateL., MilanM.A. (a cura di) Handbook of social skills training and research, New York, John Wiley e Sons, 1985 

Y.Sharan e S Sharan, Gli alunni fanno ricerca, Erickson, Trento 1998 

E.G. Cohen, Organizzare i gruppi cooperativi, Erickson, Trento 

M.Becciu, A.R. Colasanti, La promozione delle abilità sociali, Edizioni AIPRE, Roma 

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